Da Farfa allo Sri Lanka, don Massimo Lapponi si racconta
set32022

È sempre molto atteso e ben accolto, don Massimo Lapponi, a Farfa! Tornato dallo Sri Lanka lo scorso giugno per trascorrere un po' di giorni all'Abbazia e con la sua comunità, è stato cercato anche dai tanti fedeli che con lui sono cresciuti. Nonostante la fatica che lo vede da undici anni essere in prima linea nella meravigliosa terra bagnata dall'Oceano indiano, Don Massimo ha accolto tutti con un sorriso. E prima di partire ha raccontato un po' di sé e dei giorni scanditi da un diverso clima ma sempre dallo stesso spirito!

Da quantio anni vive nello Sri Lanka?
Undici. Anzi dodici se consideriamo le prime volte in cui il Priore Dom Eugenio Gargiulo è andato nello Sri Lanka anche se la missione non nacque per nostra iniziativa. Con la fede che abbiamo nel cuore l'abbiamo interpretata come la chiamata di Dio. Giunse a Farfa una suora che era stata più di venti anni in Italia e che come Madre superiore aveva fondato nello Sri Lanka una congregazione religiosa. Giunse chiedendo al Priore la possibilità di fondare una comunità benedettina lì perché alcuni ragazzi del posto avevano espresso il desiderio di consacrarsi a questo ordine monastico. Il Priore non esitò e partì per visitare il luogo e anche il popolo.
La grande bellezza del posto e il profondo spirito religioso dei giovani ma anche in generale della popolazione ci portò ad una decisione voluta dalla maggioranza: provare a creare una missione! Era il 2010. Io sono andato nel 2011. I primi anni andavo e tornavo ogni sei mesi ma poi si è deciso per una permanenza duratura voluta anche dallo stesso vescovo locale di Kurunegala, Dr. Harold Anthony Perera.

Come ha preso il via la comunità benedettina nello Sri Lanka?
All'inizio stavamo in una casa che ci era stata prestata nella periferia della capitale Colombo. Poi il vescovo ci dette questa chiesa dove attualmente stiamo. Nella parte retrostante della chiesa c'erano alcune stanze completamente in rovina per le quali abbiamo fatto dei lavori di restauro durante i quali ci siamo trasferiti in una casa distante circa tre km dalla chiesa e che ogni giorno raggiungevamo per le nostre attività di preghiera e di incontro con la comunità. Una famiglia del posto ce la prestò per tutto il periodo del restauro.
Poi finalmente, ultimati i lavori, siamo tornati per viverci in modo stabile. Ma adesso abbiamo bisogno di costruire un monastero e quindi di uno spazio più ampio anche per far crescere la nostra comunità che al momento vede solo la mia presenza e quella di un giovane del posto il cui nome monastico è don Lorenzo e che il prossimo ottobre inizierà il corso di Teologia.

Come si svolge la vostra vita?
In generale seguiamo le regole che ci sono a Farfa però, essendo di meno, è anche più semplice. Nella vita benedettina ci sono questi momenti di preghiera comune che ritmano la giornata a cominciare dalla mattina presto e poi c'è il lavoro. A differenza dei nostri giovani, legati ad una visione occidentale che rende lo studio quasi l'unico dovere da assolvere, nello Sri Lanka i ragazzi hanno un naturale interesse per i lavori più comuni impegnandosi in modo costante e partecipe. Fa parte della loro cultura occuparsi, oltre che dello studio, anche degli aspetti pratici: dal giardinaggio alle pulizie fino alla cura degli animali.
Abbiamo un terreno piuttosto grande dove è necessario intervenire quotidianamente per mantenerlo pulito, raccogliere i frutti e accudire gli animali da cortile. Ovviamente parliamo di frutti per lo più diversi da quelli sabini o più in generale italiani. Nel nostro orto si raccolgono frutti esotici come il cocco, la papaya, il mango, le banane e tanti altri a noi del tutto sconosciuti.
Anche la fauna è chiaramente diversa. A parte i cani, i gatti, le galline e i conigli che i nostri giovani srilankesi, al momento uno, curano con estremo amore; ci sono una grandissima varietà di uccelli che emettono suoni molto diversi da quelli che siamo soliti udire nelle nostre campagne e anche una grande varietà di pesci con cui gli abitanti del luogo hanno un rapporto particolare. Pensi che in ogni casa c'è una vaschetta con dei pesciolini e se manca viene subito notato. Inoltre ogni tanto spuntano fuori serpenti, scoiattoli, iguana, manguste e tanti altri.
Ma tutto questo lavoro è bilanciato dal costante studio per una solida formazione culturale e spirituale. Per l'apprendimento delle lingue, anche inglese, vanno a lezione da professori esperti che sono mediatori culturali.

Che tipo di formazione offrite ai giovani del posto che scelgono la vita monastica?
Una formazione che sappia trasmettere tutto ciò che è necessario per fare bene la preghiera, curare le letture e il canto. Poi l'insegnamento è legato alla vita e alla tradizione monastica benedettina e la sua Regola: il rito, la morale e la storia. Ma per imparare questo tipo di monachesimo – occidentale – è necessario che apprendano anche la nostra cultura che poi è quella che noi studiamo nelle nostre scuole e che comprende un più vasto panorama.
Alla base di tutto c'è la lingua. I giovani vanno a lezione di italiano e inglese e alla fine, per l'inglese, sostengono gli esami. Il loro percorso è impegnativo ma fino ad oggi tutti coloro che veramente avevano uno spirito vocazionale sono riusciti a pieni voti e i ragazzi presenti nella comunità farfense ne sono una dimostrazione! Ma è bene sottolineare che anche noi dobbiamo conoscere le loro tradizioni e la loro cultura per stabilire un rapporto fatto di incontro, comprensione e integrazione.
Devo dire che la loro lingua è difficilissima e ancora oggi fatico tanto che durante la settimana celebro la messa in inglese mentre nelle occasioni importanti o anche la domenica è presieduta dal parroco locale.

Ha accennato alla cura del canto. So che lei ha dato prova di grande maestria in questo tipo di arte sia come musicista sia come cantante…
La ringrazio ma per chi segue questo cammino è naturale intraprendere una formazione musicale e canora che andrà a far parte delle nostre preghiere. Ricordo tra tutti l'importanza del canto gregoriano che contraddistingue l'odine benedettino. I giovani srilankesi hanno quasi tutti una buona disposizione al canto e seguono con attenzione le lezioni così come partecipano con ardore alla preghiera liturgica che, appunto, contempla il canto.
Personalmente fin da giovane ho studiato musica coltivandola in varie forme, in particolare il canto gregoriano. Cerco di dare loro una formazione musicale anche se gli impegni sono davvero tanti! Sono passati dieci anni ma c'è ancora molto da fare!

Ha precedentemente detto che al momento siete solo lei e il giovane don Lorenzo. C'è stata una diminuzione delle vocazioni da parte dei giovani srilankesi?
Per diversi anni c'è stato un certo numero di giovani che abbiamo seguito. Alcuni di loro sono oggi novizi a Farfa (sono quattro), altri, dopo la formazione, hanno preso la loro strada. In questo posto c'è l'abitudine di mandare i propri bambini nei monasteri buddisti dove poi sceglieranno se rimanere o ritornare a casa. Fa parte della loro cultura a prescindere dalla propria religione.
Quindi anche per i Cattolici, che sono una minoranza, c'è questa mentalità che poi non è diversa dalla nostra, quella che un tempo mandava i figli a studiare in collegio. E Farfa ne è un esempio. Come ho già detto il giovane don Lorenzo deve iniziare il corso di Teologia e sarà molto impegnato. In realtà ci stiamo riorganizzando per accogliere altri giovani.
C'è anche da dire che rispetto agli anni precedenti anche lì le cose sono cambiate. Fino a poco tempo fa, infatti, c'è stata una vita religiosa spontanea, semplice e quindi le vocazioni ne erano una conseguenza. Oggi la gioventù è sempre più affascinata dalla modernità e dai suoi strumenti che li portano altrove. E' pur vero che ci sono ancora famiglie semplici, con le loro tradizioni e che si mantengono aperte alla spiritualità. Uno dei nostri scopi sarebbe quello di offrire loro un'alternativa: far vedere loro che si può progredire in un altro modo e non seguendo i "dettami" del progresso odierno.

Entriamo nel territorio caratterizzato dalla presenza di diverse religioni. Quali sono i vostri rapporti?
C'è una religione di stato che comprende anche il monachesimo. E' il buddismo che ha un ruolo importante e autorevole. Poi ci sono le minoranze come quella Cristiana soprattutto Cattolica ma anche Protestante, poi quelle Induista e Mussulmana. La Comunità cattolica è forte in alcune zone ed è legata alla colonizzazione portoghese che risale al Cinquecento. Aspetto quest'ultimo che si può ancora vedere nei segni della lingua: alcuni cognomi ad esempio sono portoghesi.
Al momento i rapporti tra le diverse comunità sono pacifici. È capitato spesso che i monaci Buddisti ci abbiano invitato per particolari celebrazioni e anche noi li abbiamo accolti nelle nostre. C'è sempre una grande cordialità legata anche al fatto che il popolo singalese è molto religioso. Mi è capitato di entrare in un negozio e di vedere il negoziante rifiutare i soldi perché, secondo la loro tradizione, non si prendono soldi da monaci a prescindere che siano buddisti o cattolici. Ma anche sugli autobus, negli aeroporti e addirittura negli studi medici i sacerdoti hanno posti riservati.

Il vostro rapporto con la popolazione?
È buono e fatto di reciproco rispetto. Come ho già detto non parlo la loro lingua, se non qualche parola, ma con l'inglese riusciamo a dialogare. La gente partecipa sebbene la nostra zona non sia così ricca di famiglie cattoliche come in altre località.

Ci potrebbe dare qualche cenno sulle peculiarità del posto e degli srilankesi?
Innanzitutto non esiste l'inverno. Un particolare che elimina problemi che invece affliggono le nostre vite occidentali. Le finestre delle case sono quasi sempre aperte, non conoscono i riscaldamenti così come l'acqua calda, se non quella del mare.
A tal proposito rimango sempre affascinato nel vedere le scuole durante le lezioni. Si svolgono spesso con le finestre aperte. Alcune scuole sono davvero ben curate. Le insegnanti, quasi tutte donne, vestono un caratteristico abito, il sari, che è bellissimo! E' un rettangolo di stoffa pregiata dai diversi colori che bisogna saper indossare e che trasfigura la persona. Oltre che nelle scuole viene indossato negli uffici o all'aeroporto. E' come se fosse una divisa ma che varia in base ai colori e a chi lo porta considerando che tra l'India e Sri Lanka ci sono 24 diversi modi di indossarlo!
Posso aggiungere in modo sintetico che la popolazione è costituita da una maggioranza singalese e una minoranza "Tamil" che parlano due diverse lingue. Non saprei descrivere le loro differenze fisiche che magari ai loro occhi sono evidenti piuttosto posso evidenziare come la seconda etnia, la Tamil, proveniente dall'India, sia più impegnata religiosamente. Dopo anni di guerra, oggi convivono abbastanza pacificamente.

Cosa più le è mancato di Farfa?
La comunità e la gente, sicuramente. Consideri che sono entrato nel monastero benedettino farfense nel 1970 e dunque vi ho trascorso gran parte della mia vita. Tuttavia il colpo è stato attutito dalle vie comunicazioni che oggi permettono di avere contatti celeri. Altra mancanza: la biblioteca! Ma anche questa è stata compensata dall'utilizzo di internet, che prima usavo pochissimo. Per necessità ho imparato ad utilizzarlo ed è stata una vera scoperta trovare in rete libri antichi e rari. In tal modo ho potuto continuare i miei studi.

Cosa ha trovato al suo rientro a Farfa?
C'è una comunità monastica sempre più numerosa perché siamo undici e mi sembra un miracolo anche se la vita monastica deve essere sempre rinnovata. Vedremo. Certo è che siamo nelle mani di Dio! E poi ho incontrato parenti, amici, conoscenti e tutti coloro che mi hanno cercato per una parola, un saluto, una stretta di mano.

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