Farfa nel tempo… tra i ricordi di Francesco Simonetti!
nov92022

Gli occhi di un figlio diventano la lente con cui trasmettere ai posteri il vissuto di un genitore che è anche un pezzo di storia che ci traina tra le maglie di un tempo non così perduto. Oggi raccogliamo i pezzi di memoria di Francesco Simonetti per perderci nella lunga e intensa vita del papà Franco che da poco tempo ha preso la strada del cielo. Uno spaccato di vita che ci ricorda come in questo angolo di terra ci siano stati uomini ricchi di vita e sempre pronti a lottare con la pace nel cuore.

"Mio papà Franco è nato il 15 marzo del 1930 nella rigogliosa campagna tra il Comune di Castelnuovo e Farfa. La sua infanzia è stata dura perché vissuta tra le intemperie generate dalla guerra che rendevano difficile anche il semplice sostentamento. Ma forse proprio da lì è nata quella sua forza di reagire a tutti i muri che ha incontrato lungo il cammino. Il suo primo importante passo avvenne in giovane età chiedendo la mano di colei che sarebbe divenuta sua sposa, mia madre, Alba Simeoni che viveva a Farfa nel terreno su cui oggi troviamo l'allevamento di ovini.

I loro sguardi si incontrarono già in fasce e con i primi passi iniziarono a salutarsi ogni giorno perché papà con i suoi genitori vivevano dall'altra parte del fosso Riana, di fronte all'abitazione dei miei nonni materni.
Poi si sono avvicinati e mai più lasciati sui banchi della Scuola Elementare di Farfa che all'epoca era intitolata ad uno zio di mia madre, Ferino Simeoni, caduto nella Prima guerra mondiale a soli 18 anni! Sembra che il giovane, residente a Farfa e chiamato nella campagna russa, sia stato atteso a lungo dalla famiglia e quando fu dichiarato disperso il Comune gli intitolò l'edificio scolastico che in seguito fu chiuso. Si sposarono nel 1954 e dopo circa un anno arrivai io e la responsabilità di un figlio.  Fino ai primi anni Sessanta (1963-'64) abbiamo vissuto nella casa che si affaccia sulla piazza Schuster, precisamente quella sul cui lato si trova la fontana dove oggi in tanti sostano per un po' di refrigerio nei giorni più caldi.

Successivamente ci siamo spostati nella casa all'angolo, lungo la via principale, precisamente quella in cui oggi troviamo il pastificio. All'epoca era abitato da un sarto – e rispettiva famiglia – che aveva portato il conte Volpi e che, ormai anziano, lasciò la sua bottega storica per tornare in terra veneta. Papà piano piano ha trasformato l'appartamento costruendo due bagni nei rispettivi piani, una bella cucina e un caminetto che ricordo con piacere nelle giornate più fredde come quelle natalizie.  Inoltre risistemò le scale per renderle più sicure. Erano case abitabili ma molto antiche e i suoi interventi lo hanno reso uno spazio accogliente e confortevole.

Lenti ma importanti traguardi frutto di grandi sacrifici. Anche mia madre è sempre stata una infaticabile lavoratrice. Ancora la vedo mentre esce di casa per andare all'Istituto Cremonesi o al vecchio collegio Santa Maria dove ogni giorno puliva con cura le stanze dei ragazzi che studiavano a Farfa. Era una donna premurosa in tutto quello che faceva. E ricordo anche la fatica di papà Franco che ha iniziato come manovale a Roma e poi, nei primi anni Sessanta, ebbe la brillante idea di comprare una Topolino per fare piccoli commerci. Qualche volta andavo con lui. Prima di mettersi in viaggio verso la capitale, prendeva la strada che conosceva a menadito per fare sosta dai diversi produttori sabini per l'acquisto delle materie prime – uova, frutta e verdura – che portava nei grandi condomini romani dove il portiere citofonava a tutti per avvisarli del suo arrivo. E così scendevano per comprare i prodotti "boni" della Sabina.

Questo tipo di commercio diretto iniziò a dare i suoi frutti che lo portò ad acquistare una macchina familiare 110, una specie di station wagon moderna, dove abbassava i sedili per mettere le cassette che nel frattempo erano aumentate.
La repentina trasformazione del mercato, non a caso denominati anni del boom economico, lo spinse all'acquisto di un camioncino. I suoi viaggi avevano diverse direzioni: i grandi magazzini romani o il mercato coperto di Rieti. Ma la sua vita non era fatta di solo commercio. Papà amava zappare un pezzo di terra farfense per vedere crescere le sue verdure e accudire i suoi diversi animali: dai cani ai gatti, dalle galline alle pecore e pure un cavallo! Lì trascorreva quel tempo definito libero ma era pur sempre un lavoro che portava sulla nostra tavola abbondanti cesti di frutta e verdura!

Ma proprio nel luogo dei suoi spensierati momenti, incontrò la prima grande avversità. Erano gli anni Novanta e nel fare manovra il suo piccolo trattore si ribaltò. Fu così agile che con un salto ne uscì indenne. Tuttavia quando si avvicinò per spegnerlo, accecato dal fumo, non vide la presa di forza dove lasciò la sua mano. Per lui fu una tragedia perché la mutilazione non gli consentiva più di guidare per lunghe distanze e quindi di continuare la sua attività che nel frattempo era cresciuta con il trasporto dei materiali edili.

Così divenne un pensionato che non si è mai arreso!

Anche dopo, con la dolorosa perdita di mia madre, ha trovato la forza di vivere e rimanere un punto saldo per tutti noi. Se non poteva più lavorare guidando, poteva essere utile nel suo borgo! Il Priore di allora gli affidò il compito di gestire l'acquedotto di Farfa che oggi non c'è più perché successivamente sostituito con quello del Peschiera. Una mansione che fu mantenuta per diverso tempo e confermata anche dall'attuale Priore Gargiulo. Mi ricordo il giorno in cui mi portò a Toffia, alla sorgente che giaceva sotto una pianta di fico. L'acqua, infatti, era stata intubata per direzionarla e portarla nelle due grandi vasche presenti a Farfa che alternativamente venivano aperte e chiuse per non far mai rimanere vuote le brocche dei farfensi!

La perdita di una persona cara accende i ricordi e quelli vissuti a Farfa sono come un fiume in piena che tornano con maggior impeto ogni volta che torno nel borgo e incontro gli amici di sempre.

Farfa era un piccolo paese ma ricco di tutto: ristorante, campo di bocce, alimentari, botteghe artigiane. Vivevamo vicini, uniti e collaborativi. Per le feste o le cerimonie si festeggiava da Mario dove oggi c'è l'amico Tito! Ma era un punto di ritrovo quotidiano perché a fianco del ristorante c'era un campo di bocce dove papà Franco con i suoi amici giocavano mentre le donne, sedute lungo la via, respiravano un po' d'aria fresca dopo la calura estiva del giorno. Si parlava, si scherzava e si rideva con una certa spensieratezza nonostante le tante fatiche che ogni famiglia affrontava nel suo vivere ordinario. I miei primi soldi me li sono guadagnati lavorando come cameriere da Mario e la domenica indossavo i panni da chierichetto orgoglioso di salire sul maestoso altare. Farfa è sempre stata una meta religiosa per tutti i sabini.
Tra tutte la festa dell'Assunta del 15 agosto era e rimane la più sentita non solo dai farfensi ma da tutti i sabini.

Si riaccendono in me le immagini del borgo animato da chi ne viveva l'arrivo con fermento. L'organizzazione partiva anche un mese prima e c'era sempre un gran da fare! Dalla raccolta fondi all'organizzazione dei giochi come il ballo della cuccagna. Che spasso! Un lungo palo di legno imbrattato di grasso sul quale, in cima, venivano appesi i premi. E poi a turno si cercava di arrivare in alto per agguantare una busta mentre il peso del corpo scivolava in basso. Ma erano davvero tanti i giochi: carte e bocce dove papà Franco non mancava mai, le partite di pallone nel campetto dove negli anni a seguire hanno realizzato un grande parcheggio, le corse a piedi o con i sacchi che ci facevano sembrare dei canguri che saltavano da un arco all'altro!
E poi il famoso ballo della Pantasima che ancora oggi ci aspetta a conclusione della giornata in piazza Schuster e per il quale dobbiamo ringraziare la famiglia Scipioni (dal capostipite Augusto al figlio Gustavo) che quando arrivò nel borgo farfense negli anni Trenta – Quaranta portò questa antica usanza da Paganica.

Papà Franco ha conservato con cura un piccolo trofeo vinto in una gara a bocce in uno dei tanti ferragosto festeggiati a Farfa!

Come ho già detto la Festa dell'Assunzione celebrata a Farfa era sentita da tanti sabini, molti dei quali raggiungevano l'Abbazia a piedi. Mi ricordo una processione che non finiva mai tanto da formare un serpentone che si dipanava lungo le vie e chi per primo usciva raggiungendo l'ultimo arco, quello superiore, aveva dietro di sé gente che ancora usciva dalla piazza antistante la basilica e diretta al primo arco, quello in basso.  Uno spirito di devozione nei confronti della Madonna di Farfa che può profondamente capire chi qui è nato o anche approdato.

Un clima da vivere più che da spiegare!

Papà Franco che non era assiduo frequentatore delle Messe ordinarie, andava a modo suo e con spirito silenzioso davanti all'altare. Lì ascoltava, pregava e poi usciva con il cuore di un leone costantemente messo alla prova ma coraggiosamente pronto a dare una mano, soprattutto quella che non aveva. Lo faceva con il suo spirito, con le parole che spingevano a guardare avanti senza mai abbattersi. Lo ha fatto con me, con i suoi nipoti Riccardo, Giulia e Francesca e con chi lo ha semplicemente conosciuto.

Mi ricordo bene i suoi occhi quando, raggiunti gli 80 anni, dovette lasciare l'amata dimora farfense. Non potendo più portare la macchina, aveva la necessità di un posto dove poter uscire autonomamente per fare la spesa o altre pratiche che riempivano le sue giornate. Si trasferì ad Osteria Nuova in una casetta prossima alla farmacia, con un suo giardino e un orticello. Parliamo di circa undici anni fa. All'inizio veniva a Farfa tutte le mattine con il pullman per accudire gli animali rimasti nel terreno dell'Abbazia. Alle 13 tornava a casa. Poi quando l'età e i suoi "acciacchi" gli hanno reso impossibile il viaggio, ogni tanto lo portavo io con la macchina. 
I suoi occhi seguivano i suoi ricordi poggiando l'attenzione innanzitutto sulla casa dove sono cresciuto, sugli amici che rivedeva al bar Lupi e poi sul terreno dove controllava quello che ho continuato a fare io che come lui amo animali, terra e frutti! Tra le sue ultime e quotidiane parole che rivolgeva alla signora che teneramente lo accudiva: "Domani prendiamo il pullman e andiamo a Farfa".


Il 20 settembre si è sentito male e ha deciso di prendere un pullman speciale che lo ha portato lassù. Ma son sicuro che continua a guardare la sua Farfa con occhi fieri e forti".

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