Farfa nel tempo… tra i ricordi di Elisabetta Scipioni!
mar12023

Una vita vissuta a Farfa. Progetti, parole, azioni nate dal cuore di un uomo che ha sempre trovato la strada di un sorriso, che ha sempre aperto la porta della sua bottega anche a chi passava per un consiglio. Gustavo Scipioni lo ricordano tutti a Farfa e in tanti fuori dai confini sabini. Uno sguardo umano che manca ed è proprio dai suoi occhi di profondo e attento osservatore che nasceva la sua arte che oggi ritroviamo nelle mani di sua figlia Elisabetta. Con lei ripercorriamo la storia del tessitore, del volontario, dello studente, dell'amico, del figlio, del marito, del papà Gustavo scomparso un anno fa. Ma sono tanti i ricordi che si intrecciano nella memoria di Elisabetta che non di rado aggiunge con un sorriso come suo padre avrebbe saputo raccontali meglio. Non importa.

La bellezza vive anche nell'incertezza delle parole che rimangono in chi non si arrende e continua una faticosa tradizione che in questo oggi rimane intatta come una perla pregiata. Una strada che lo stesso Gustavo ha vissuto quando ha perso sua madre, grande donna e grande tessitrice di un tempo che riscopriamo entrando nella bottega Scipioni nata nel 1938.

"La storia di questa bottega nasce nel 1938 quando mia nonna Teodolinda Palmerini, detta Linda, nata e cresciuta a Paganica, decise di avviare questa attività in terra sabina. Era un'abilissima tessitrice abruzzese sempre pronta a nuove esperienze. Nel 1937 organizzò una mostra tessile a Roma - di cui si ha testimonianza in un articolo pubblicato su "La donna fascista" -  dove conobbe il conte Volpi di Misurata, all'epoca proprietario del borgo farfense, che le propose di andare a Farfa dove avrebbe avuto tutto il necessario – casa e bottega – per tirare su il laboratorio artigianale. Il suo forte spirito imprenditoriale non si fece sfuggire l'opportunità e così iniziò con i diversi telai acquistati grazie ad un prestito elargito dallo stesso conte Volpi che agevolò tanti altri artigiani che in tal modo ripopolarono il borgo medievale legato alla grande fiera Quattrocentesca.

Dopo tre anni, con l'arrivo dei tedeschi nel 1941 e per paura che le bruciassero l'attività perché razziavano di tutto per scaldarsi, nonna Linda preferì tornare a Paganica nascondendo i suoi amati telai nelle abitazioni dei contadini prossimi all'Abbazia. Tornando indietro negli anni, nonna ha sempre dimostrato un bel carattere. Non appena aperta la bottega a Farfa disse a nonno Augusto, partito come soldato per Misurata, che non lo sposava per procura e che lo avrebbe fatto al suo ritorno dalla guerra. E proprio questo lo salvò. Nonna ricordava con orgoglio questa scelta perché quando tornò in licenza per sposarsi, il suo reggimento fu sterminato. "Eh se non era per me!" gli diceva spesso. Ho ritrovato vecchie foto del nonno in Africa mentre insieme ad altri commilitoni coltivava i campi, passione con cui era cresciuto e che ha continuato nel suo tempo libero da carabiniere. 

Ricordo la sua voce quando ci raccontava che le gente del posto non era abituata a fare l'orto, o almeno per come lo concepiamo noi, e a lui piaceva trasmettergli queste conoscenze che poi servivano anche alla loro sopravvivenza. Ma dopo quegli anni così duri e violenti, la vita riprese il suo corso. Nel 1942 nacque a Paganica il loro primogenito, papà Gustavo. La loro permanenza nella città nativa durò fino al 1944, anno in cui si riprese la strada per Farfa dove rimasero fino all'ultimo respiro. Così a due anni inizia la storia di Gustavo nel borgo farfense, contenitore di ricordi teneri e divertenti che ci raccontava con la sua calma e allegria. Ha studiato al collegio di Farfa e, a differenza dei suoi compagni che vivevano dentro il monastero, abitava a fianco e quindi con maggiore libertà!

Tra gli aneddoti che spesso ricordava, mi tornano in mente quelli divertenti che vedevano gli studenti sempre pronti al gioco, alla solidarietà e allo studio che all'epoca era un lavoro tenace ed impegnativo.
Papà sapeva a memoria gran parte della Divina Commedia, sicuro la prima Cantica dell'Inferno che ogni tanto recitava con l'ago in mano.
Ma come tutti i giovani, trovavano anche spazi di gioco che, sebbene innocui, non sempre rispettavano le regole del monastero. Come quando aprirono la teca contenente il corpo di Don Placido e gli tolsero le scarpe per mettergli quelle da ginnastica!
 
Tra i suoi racconti c'era anche la sua avventura come attore vestito da monaco in una scena del film "I quattro monaci" con Aldo Fabrizi. Lo girarono all'interno del monastero e di quell'esperienza aveva conservato nella sua memoria soprattutto l'immagine del grande attore Fabrizi che nelle sue trasferte portava pasta in abbondanza dentro un baule e quando aveva fame si faceva preparare il sugo appositamente per lui!

Papà è sempre stato legato al borgo di Farfa ed era animato da un forte spirito devozionale nei confronti della Madonna di Farfa. Uno spirito trasmessogli dai genitori, in particolare da nonno Augusto che da Paganica portò il famoso ballo della Pupazza che la sera di Ferragosto continua a coinvolgere non solo chi vive a Farfa ma anche i residenti di altri paesi sabini. Si canta, si balla e alla fine c'è il fuoco che porta via tutta la negatività! Sono quelle tradizioni che rimangono perché uniscono con allegria e con poco alleviano le fatiche ordinarie e quotidiane.

Nonno ha saputo trasformare le pene legate alla guerra e alle sue conseguenze in una grande e profonda vitalità che lo rendeva costantemente presente nella vita familiare ma anche collettiva.  Papà ricordava spesso i giorni in cui – lasciata la divisa da carabiniere a causa dei capelli bianchi – partiva con la sua macchina alla volta di Roma per consegnare i corredi della nonna e delle sue lavoranti.

E insieme alla forza del nonno c'era quella della nonna che con le sue mani ha saputo creare uno spazio creativo, un mondo laborioso che ha visto il passaggio e la permanenza di altre formidabili ricamatrici. Una passione la sua che ha trasmesso al figlio Gustavo in silenzio. Per lungo tempo papà ha eseguito essenzialmente il lavoro di forza ossia quello relativo alla preparazione del telaio e al suo montaggio. Per il resto non si è mai seduto accanto a nonna per tessere anche solo un tappeto! Fino al 1985, anno in cui è venuta a mancare la madre, papà ha lavorato come ragioniere in una grande azienda di Roma. In questi anni venivamo tutti i fine settimana e durante le vacanze estive ma i nostri ritmi erano quelli legati ad una grande città. Mi ricordo la felicità e quel senso di libertà provato non appena si arrivava nel borgo farfense. A Roma si viveva secondo schemi che imponevano orari prestabiliti per le uscite pomeridiane che contemplavano sempre l'occhio vigile di un adulto, almeno fino ad una certa età. C'erano i giardinetti dove si andava dopo i compiti ma solo sotto stretta sorveglianza di mamma Elena, che pure lavorava, e di sua madre, nonna Maddalena, detta anche Nena.

A Farfa invece si usciva senza limiti! Eravamo un bel gruppo di bambini, pronti a salire in sella alla bici per fare i nostri giri o tanti altri giochi. Prima del Duemila la strada era trafficata perché non era stata costruita la variante, quindi l'unico accorgimento era prestare attenzione alle macchine ma avevamo il campetto sportivo e tutto lo spazio necessario per vivere fino al tramonto la nostra spensieratezza. E di quei giorni ricordo anche quando mi sedevo vicino a nonna Linda che con pazienza mi insegnava ciò che ancor oggi continuo a fare tra le mura che mi hanno vista crescere, come donna e come professionista. Il rumore del telaio, i fili che si intrecciano, i colori che si amalgamano come quelli sulla tela di un pittore, la potenza di un ricamo che trasforma una morbida superficie, la qualità delle stoffe, la serietà nella scelta e nel lavoro che ha tempi di consegna ben precisi e poi tanta amicizia! 

Quella che nasceva tra la nonna e le lavoranti, e poi pure con le clienti che nel tempo sono rimaste anche in nome di una tessitura umana.
In particolare ho sempre sentito parlare della raffinata signora Moro che, allorquando veniva a Farfa, passava in bottega per un acquisto. Papà, all'epoca un ragazzetto, ricordava le sue passeggiate con il marito Aldo Moro che dopo averla accompagnata al negozio, preferiva camminare. 'Un uomo dal grande carisma e sempre in movimento!" così lo dipingeva ripensandosi mentre lo accompagnava tra le vie del borgo.
Farfa sembra un piccolo centro lontano dal mondo ma è tutt'altro! Sull'affetto e rispetto reciproco con la signora Moro, mi torna alla mente quando nonna Linda raccontava della sua disponibilità ad aiutarla nei momenti di minor lavoro mandando sempre qualcuno interessato all'acquisto di prodotti artigianali.
 
Anche con le ragazze che lavoravano per lei riusciva a miscelare la sua forte personalità e l'animo gentile della ricamatrice. Ancora oggi mi capita di sentire da chi si affaccia guardando con curiosità la bottega: 'Mamma veniva qui a tessere! '. Con una sua lavorante che viveva a Toffia ho vissuto un rapporto profondo, soprattutto alla morte della nonna. Avevano lo stesso carattere e la stessa età. Andavo spesso a trovarla perché mi sembrava di continuare a vivere quel legame privilegiato che esiste tra nonna e nipote. Poco prima della sua scomparsa, mi regalò il suo telaio perché a casa sua nessuno sapeva tessere e, ormai stanca, preferiva donarlo alle mani di chi lo avrebbe usato. L'ho preso ed è rimasto lì, montato con l'ultimo ordito fatto con lei. Non riesco a finirlo. Il cuore ha i suoi tempi.


Come ho già raccontato i miei genitori hanno vissuto per molto tempo a Roma pur venendo spesso a Farfa dove si sono sposati. Era il mese di giugno del 1972 e arrivò il giorno del matrimonio. I ricordi di papà ci hanno permesso di riviverlo come se già fossimo nelle loro vite che oggi ritornano nelle foto in bianco e nero. Ma papà Gustavo riempiva ogni cosa di colori radiosi come i fiori freschi che andò a prendere a Roma per adornare la basilica. Caricati nella macchina, riprese la strada per Farfa ma con le dovute soste nelle fontanelle che incontrava lungo la via per bagnarli e non farli appassire.

Le conosceva tutte le fontanelle e le sorgenti dove spesso si fermava durante le nostre gite fuori porta. Sarà forse che è nato in Abbruzzo – dalle famose novantanove fontanelle aquilane – ma aveva una vera passione per questo tipo di conoscenza geofisica del territorio. Aveva in testa una specie di mappa che comprendeva tutte le sorgenti acquifere verso Roma ma anche quelle presenti sulla strada per Terni e, naturalmente, per l'Aquila. Insomma in viaggio con lui di sicuro non si moriva di sete!

Dopo la cerimonia nella basilica, salirono tutti all'ultimo piano della Fondazione Cremonesi che zio Mario, all'epoca gestore del Ristorante dove oggi troviamo Tito, aveva adibito come sala per le cerimonie. Prima degli anni Settanta, una parte dell'edificio della Fondazione era utilizzato come collegio; successivamente furono costruiti gli attuali appartamenti. Che poi papà quelle scale le ricordava bene perché da giovinetto aveva lavorato come cameriere dallo zio Mario, marito della sorella di nonna Linda, zia Licia.

E dopo le nozze è arrivata la prole: primo mio fratello Gianluca e ultima mia sorella Paola. Io, è facilmente deducibile, sono la mediana.
Avevamo rispettivamente tredici, otto e tre anni quando da Roma ci siamo trasferiti a Farfa. Coincise con una data tragica ossia con la scomparsa della nonna Linda. Un momento buio ma anche illuminante per papà che stette qualche giorno da solo nella casa materna. In quei giorni vissuti a Farfa ricevette una marea di telefonate da parte dei tanti clienti e amici della nonna che lo invitarono a non abbandonare l'attività. Una richiesta che non si aspettava ma che lo portò a meditare su cosa fosse la cosa giusta da fare.

Mollo il lavoro a Roma e vado avanti con l'attività a Farfa! Questo alla fine pensò. Questo fece.

Come ho precedentemente spiegato, papà fino a quel momento aveva fatto solo lavori di forza senza essersi mai seduto al telaio. La cosa straordinaria fu che in quei giorni di dolore, si sedette sulla sedia della madre iniziando a tessere un meraviglioso tappeto che ancora oggi conserviamo come segno della sua innata arte.
A quei tempi l'arte della tessitura era una prerogativa femminile e forse per questo la nonna ha trasmesso il suo sapere unicamente alle donne di casa: alla figlia Gabriella, poi tornata in terra Abruzzese per fare la maestra ma sempre con un piccolo telaio in casa, e a noi nipoti dal fiocco rosa. Così papà Gustavo ha iniziato a tessere realizzando capolavori sia per i vecchi committenti sia per i nuovi. Ricordo quando fece la riproduzione di un quadro di Georges Seurat su un tappeto commissionato da Badaloni per la sua trasmissione "Piacere Raiuno". Sono state tante le soddisfazioni lavorative che ha vissuto con discrezione, impegno, passione e sano confronto. 

A metà degli anni Novanta entrarono nella bottega degli stilisti che giravano per conto di Giorgio Armani. Videro dei lavori che vollero presentare allo stilista che mai vedemmo ma che ci commissionò un set di asciugamani e dei sottopiatti con tovaglioli in puro lino con un ricamo semplice e la scritta serigrafica Emporio Armani. Erano pezzi unici e numerati. Non solo l'arte ma anche la precisione e l'onestà hanno sempre pienamente ripagato mio padre. Una volta venne anche la regina Paola del Belgio che, in visita a Farfa, ci raggiunse perché, rimasta affascinata da alcuni nostri articoli che le avevano donato, volle vedere con i suoi occhi la bottega e i suoi prodotti. Dopo la sua visita, entrò don Agostino, all'epoca Priore dell'Abbazia, che era rimasto esterrefatto perché durante la visita nel monastero la regina gli chiese dove fosse il negozio di tessitura. 'Mica è normale! ' disse don Agostino con un grande sorriso. Sono cose che fanno piacere e che rimangono. Soprattutto ora che papà ha raggiunto la sua mamma e che, come lui nel 1985, mi ritrovo a continuare questo percorso fatto di fili e trame.

"Sbaglia solo chi le cose le fa" mi diceva e continua a dirmelo quando girandomi non lo vedo. Da quel lontano 1985 la nostra vita è cambiata radicalmente e in meglio. Sia io sia i miei fratelli lo abbiamo vissuto ogni attimo respirando così la sua proverbiale calma e serenità. Ricordo il trasferimento nella casa della nonna che, per stare più comodi, abbiamo accorpato a quella a fianco dove abitava una signora che accettò la proposta di papà. Prima che la nonna morisse, viveva nel borgo anche sua sorella Licia, moglie del già menzionato ristoratore Mario. La zia aiutava un po' nonna e un po' il marito. Divenute ambedue vedove si sono fatte sempre compagnia. Ma dopo la morte della sorella, zia Licia volle tornare in Abbruzzo dove c'era l'altra nipote, Gabriella, sorella di papà.

La casa della zia era un po' distante dalla nostra ma ristrutturata e con tutti i confort. La signora a fianco accettò volentieri lo scambio e si trasferì qui lasciando a noi la sua casa nel cui bagno ricordo una tinozza. Per noi bambine, che peraltro venivamo da un contesto "metropolitano", era una cosa così strana! Oggi in quel bagno spoglio leggo i segni di una società che si trasforma e anche un po' di poesia.

Papà, appassionato di cultura, ci seguiva nei compiti e ci interrogava! Avevo finito la terza Elementare a Roma dove eravamo in venticinque e a Farfa mi sono ritrovata in una pluriclasse di circa dieci bambini e nessuno della mia età! Ma era l'ultimo anno di apertura delle scuole farfensi. L'anno successivo sono andata alle Elementari di Prime Case, mentre a Coltodino e Poggio Mirteto ho frequentato rispettivamente Medie e Superiori.

Non mi rendevo conto di quanto fossi fortunata ad avere a due passi la Biblioteca, peraltro Monumento nazionale, raggiunto da ogni parte del mondo! Uscivo di casa e in pochi minuti potevo consultare i volumi necessari per la ricerca assegnata e tutto questo agevolato da don Massimo che celermente cercava i libri richiesti. Ma davo tutto per scontato!

E insieme ai compiti, ai ricami, c'erano gli appuntamenti sacri come il Natale. La passione di papà Gustavo per il presepe si manifestava ogni anno con la sua piccola opera in verticale esposta all'angolo in fondo, nell'ultima finestra del negozio. Con un pancale costruì i diversi ripiani e poi con la carta realizzò la capanna e le case che rendeva rigide con uno spray particolare. Poi, immancabile, la sua passeggiata nel bosco per raccogliere il muschio che doveva essere rigorosamente vero! Negli anni ha collezionato delle bellissime statuine molte delle quali le ha donate alle sue amate nipoti, Martina di quattordici anni e Silvia di dieci, figlie di mia sorella Paola, che hanno la stessa passione del nonno. E in questo primo Natale senza di lui, sono state un esempio per tutti noi perché hanno voluto fare il presepe seguendo le indicazioni che il nonno Gustavo aveva dato loro quando insieme realizzavano questo piccolo angolo con Gesù Bambino. La Vigilia e il Natale si vivevano sempre insieme a Farfa anche perché poi a mezzanotte si andava a Messa nella basilica dove spesso leggeva le Sacre Scritture.

La sua disponibilità, sia nell'attività sia nella collettività, nasceva da ciò che era. Non gli è mai pesato niente. Forse per questo ne ha sempre fatte tante! Fino a dieci anni fa ha prestato opera di volontariato presso la Croce Verde Sabina. Abbiamo fatto insieme il corso di primo soccorso ma ammetto che non ho il suo sangue freddo! Quando qualcuno cadeva tra le vie del borgo, venivano a bussare a papà che prontamente sapeva bloccare e fasciare qualsiasi tipo di rottura o ferita. Portava anche l'autoambulanza e a volte anche di notte partiva! Affrontava tutto pensando: 'Prima o poi ci riesco, basta provarci! '. Ed oggi sono qui, tra gli ultimi colpi del più rigido freddo e i primi più tenui raggi che preannunciano la primavera. Ricca di tutto quello che ho vissuto e desiderosa di andare avanti con tutti i miei affetti. Farfa nei mesi invernali è un po' più spenta ma, immersa tra i tessuti, quasi non me ne accorgo.

E poi c'è il fine settimana che, in qualsiasi stagione, mi porta ad incontrare gente sempre diversa! Anche la mamma di mia madre, nonna Nena lo diceva! Lei ha vissuto con noi per molti anni e, nel periodo estivo, si sedeva sempre sotto casa, lungo la via. Nonostante fossero sopraggiunti problemi che non le permettevano di camminare da sola, su quella sedia al sole conosceva sempre tante persone che si fermavano a parlare con lei. Le piaceva guardare i vestiti di coloro che attraversavano la strada per partecipare alle cerimonie e aspettava l'arrivo della sposa. Era come se assistesse a uno spettacolo dal vivo!

Parlare della vita di papà Gustavo significa intrecciare tanti fili e ogni volta scoprire e riscoprire meravigliosi orditi dai colori cangianti! Significa pensare che sbagliare vuol dire provare e quindi, prima o poi, riuscire".
 
 Foto: Scipioni
 

Galleria fotografica