(Elisabetta Faraglia) La premura nei gesti, l'ironia sottesa alle parole che l'uno dice all'altra, l'amore che unisce Anna D'Alessandro e Luigi Lupi. Una vita fatta di sapori buoni: quelli che lui prepara senza mai stancarsi, trovando nella sua arte una ricetta vitale che lo mantiene sempre attivo.
Siamo nel loro ristorante a Farfa. Mentre parla, Luigi accarezza il braccio di sua moglie. Lei sorride, con in tasca la prontezza di una battuta che diventa il sale che dà sapore ai piatti dello chef!
Per arrivare nel luogo nel quale ci troviamo – nel ristorante di famiglia al centro del borgo farfense – si deve andare più o meno lontano, in altre terre dove le radici hanno iniziato a ramificarsi per poi crescere con forza e vigore come i cipressi che abbracciano l'Abbazia.
La storia che narra sia la dimensione personale sia quella più legata a Farfa, segue due voci: quella di Luigi, che con maggiori parole descrive le diverse fasi della loro vita, e quella di Anna i cui più brevi interventi non sono mai disgiunti da una mimica, capace di arrivare dove nasce la più autentica risata.
Particolare, quest'ultimo, che ha un grande valore: invita a guardare la vita con quella leggerezza che rende più colorato il cammino fatto anche di tanti sacrifici, oltre che di famiglia, amicizie, e passione!
Apriamo il sipario.
Scorgiamo spaccati di vita autentica: cresciuta ascoltando il respiro dell'altro. Senza filtri che camuffano le immagini: in un profondo e gioioso raccontarsi.
"Da giovinetto quasi non conoscevo Farfa! Sono nato a Coltodino, sempre nel comune di Fara in Sabina, ma già a quattordici anni sono andato a lavorare a Roma come fabbro di cantiere. Viaggiavo tutti i giorni. Un periodo duro. Poi durante la nevicata del '56 a Montemario, precisamente a Varmenaia, ebbi una strana sensazione e decisi di cambiare mestiere perché pensai: 'qui fa freddo! '".
"Ancora non ci conoscevamo. Io pure sono di un paese qui vicino: Montopoli. Al contrario di lui venivo spesso all'Abbazia e mi piaceva" racconta Anna, con gli occhi che si dirigono vispi verso quelli del marito, che da piccolo a Farfa non veniva!
"Ho cambiato mestiere e ho iniziato a fare il cuoco – continua Luigi -. Avevo sedici anni e lavoravo in una rosticceria romana. Vivevo da solo in una piccola casa in affitto. Frequentavo un gruppo di amici, quasi tutti provenienti da Amatrice, dalla frazione Collemoresco, coi quali poi ho iniziato a lavorare. E successivamente ho dormito a casa di uno di loro: un cuoco eccezionale! Non avendo alle spalle la scuola alberghiera, mi sono rimboccato le maniche, e ho fatto la gavetta. Ho girato tanti ristoranti della capitale dove ho imparato con gli occhi, le mani: e il cuore. All'epoca si facevano le stagioni estive nelle zone di villeggiatura e via! Partivo per crescere! Raggiunta una maggiore professionalità, ho iniziato a scegliere quelli più raffinati, di un livello più alto. Già in quegli anni, le volte in cui tornavo nel mio paese, raggiungevo con degli amici il borgo di Farfa. Nonostante fosse molto più anziano di me, legai subito con il precedente ristoratore di questo locale: Mario Risciani che presto divenne uno dei miei più cari amici. Schietto e generoso! Inconfondibili le sue parole quando varcavamo l'uscio: 'Oggi non c'ho niente! Stasera non se magna!'. Alla fine tirava fuori di tutto, come i salumi mangiati di gusto tra due fette di pane.
"Nel '67 ci siamo sposati e siamo andati a Milano!", ricorda Anna per entrare nella storia che la comprende.
"Ci siamo incontrati alle Piscine di Farfa dove già dal '65 avevo preso in affitto la ristorazione del ristorante insieme ad un'altra persona. Un lavoro stagionale" puntualizza Luigi.
"Facciamo un passo indietro – interviene ancor più minuziosa nei particolari Anna -. Io facevo parte del gruppo che organizzava la festa di Ferragosto a Montopoli. Quel giorno partimmo in tre, tutte ragazze, per la questua che all'epoca prevedeva offerte anche in natura come, per esempio, il grano. Eravamo attrezzate e agevolate dal fatto che una delle ragazze portava la macchina, dove si scaricava ogni cosa. Ad un certo punto iniziò a piovere. Acqua fitta e battente per la quale pensammo di fermarci dietro alle piscine di Farfa. Ferme ad aspettare, vediamo arrivare una macchina: una Cinquecento con un solo fanale!"
"Perché l'altro non funzionava! Però ce li aveva tutte e due!" risponde Luigi alla sua Anna, che in quel preciso momento ancora non lo conosceva.
"Lascia perdere!! – controbatte Anna che con lo sguardo anticipa qualcosa che non le è andato ancora giù -. Una delle mie amiche, quella più sveglia e svelta, si precipitò a chiedergli i soldi. Io provai a distoglierla dicendo che non sapevamo chi fosse. Ma niente: lei andò e ricevette dall' 'americano a Parigi' cinque mila lire! Nel '65 erano soldi veri! E l'americano le diede tutti questi soldi! Hai capito?".
"Insomma quella mattina mi è costata parecchio!", aggiunge Luigi con la mano che accompagna le parole.
"Mentre la pioggia scendeva, il giradischi a gettoni 'cantava'! – continua Anna – E così ci siamo messi a ballare musica rock sopra un camioncino: da lì non me lo sono più levato da torno!".
"Ma all'epoca non si ballava la musica rock, si ballava abbracciati!", interviene lo chef dando un sapore più romantico a quel primo incontro che per Anna ha il suono forte del rock!
"Dopo un anno ci siamo sposati. Nel frattempo, durante il nostro fidanzamento, mio fratello che già stava a Milano gli propose di raggiungerlo" la voce di lei dà il via ad un nuovo capitolo della loro vita.
"Non sono partito per Milano alla cieca ma con un contratto di lavoro – inizia Luigi -. Non eravamo sposati e quindi sono partito da solo per andare a fare lo chef in un night. Stipulato il contratto, passarono ben tre mesi nei quali tutto taceva. Il locale non apriva ed io iniziavo ad avere difficoltà con le spese, che a Milano si sentivano. Perciò andai dal proprietario chiedendo quanto mi spettava e lasciandogli il mio numero di telefono per chiamarmi nel caso di un'apertura. Finì lì. Perché trovai subito lavoro nel ristorante di Gigi Fazzi, nato a Contigliano e proprietario anche di un vecchio ristorante nella capitale, dove andavano grandi attori come Eduardo De Filippo e Anna Magnani. Vi sono rimasto otto mesi, che mi hanno lasciato bei ricordi nonostante si lavorasse senza sosta con almeno 400-450 persone al giorno. Eravamo quasi trenta lavoratori. La cosa sorprendente, soprattutto ai nostri giorni, era la presenza di un sindacato interno per difendere i nostri diritti. Anche lì come cuoco ho imparato tanto. Poi sono stato assunto nel ristorante per il quale ho lavorato circa undici anni. I nostri figli sono nati lì".
"Stavamo in posto molto bello con il lavoro sotto casa e a tre fermate dal Duomo. Mi piaceva così tanto che non sarei mai tornata. Spesso quando scendevo le scale la gente mi diceva: 'Signora auguri! Ho visto suo marito in tv!'. Era famoso e io non ci facevo caso" racconta Anna con gli occhi pieni di giovinezza.
"Ho avuto belle soddisfazioni – aggiunge Luigi all'osservazione di Anna –. Ma è giusto dire che il locale era già famoso e ho incontrato davvero belle persone, che oltre al mestiere avevano un gran cuore: il proprietario Guido e tutti gli altri colleghi! Tutto questo diventava carburante anche per il lavoro. Guido mi ha dato sempre fiducia: con la mia esperienza ho definito un'impostazione ben precisa alla cucina che lavorava con ritmi serrati. La particolarità del ristorante erano gli assaggini, almeno venti, per i quali si consumavano in media quattro quintali di pregiato tartufo d'alba, così come si abbondava con il caviale. Un posto raffinato che ospitava personaggi di spicco del mondo della politica, dello spettacolo e degli affari di cui discutevano per lunghe ore. Si riconoscevano. Il mio mondo rimaneva la cucina e, a parte la famiglia, vivevo per lei! Ricordo le notti passate in bianco alla ricerca di una nuova ricetta. Ne ho studiate e create tante anche perché ho lavorato con un giornalista famoso che veniva spesso al locale: Vincenzo Buonassisi. Partecipai alle sue prime trasmissioni dell'Almanacco del giorno dopo, trasmesso su Rai 1 a partire dalla metà degli anni Settanta. A questo si riferiva Anna!".
"Io facevo da cavia come ancora oggi capita!", dice Anna facendo l'occhiolino.
"Questo mestiere sembra facile, ma se vuoi farlo veramente devi metterti in gioco costantemente e creare – torna riflessivo Luigi che nel frattempo si alza a va a prendere un quadro, uno dei pochi appesi nel loro locale -. Ecco questa fotografia pubblicitaria con questo tagliere è il mio lascia passare! I piatti che si leggono alla fine, e che hanno portato alla vittoria del Premio Challenge al Corso Internazionale Gastronomico indetto dalla Stampa di Napoli posso dire di averli pensati e fatti con quella passione che non so spiegare: c'è, ti spinge verso nuove direzioni insieme alla forza del mestiere che ha le sue regole e pratiche! Ripeto ho avuto belle soddisfazioni!"
"Ma anche qua", ricorda Anna che a un certo punto ha dovuto lasciare l'amata Milano per tornare in terra sabina. Dove poi ha ritrovato la bellezza un po' dimenticata nei palazzi di una grande città.
"Arrivò la chiamata di Mario, quella che aspettavo da tempo! – spiega Luigi ritornando a quel mondo che insieme alla sua famiglia ha costruito in prossimità dell'Abbazia di Farfa -. Ogni volta che da Milano tornavamo per fare visita alle nostre famiglie, passavo sempre dal mio amico ristoratore. Era un rituale. Puntualmente, ogni volta che entravo nel suo locale, gli ricordavo che quando avrebbe deciso di smettere l'attività, sarei stato felice di rilevarla. Ma lo vedevo come un sogno, una lontana possibilità. Dopo tanto tempo, era il 1979, Mario mi chiamò. Nel luglio dello stesso anno ci siamo trasferiti".
"Per me Farfa era quella del lunedì di Pasqua, passato lungo la strada con la pizzetta e in buona compagnia. Poi c'erano il teatro e i concerti organizzati, mi sembra, in una delle sale interne dell'Abbazia. Bastava poco per stare bene. Quando ho lasciato Milano, ho dovuto riconoscere quella semplicità che già avevo vissuto, e apprezzarne nuovamente la sua autenticità. A parte l'iniziale trauma del cambiamento, in poco tempo l'ho vista come una belle opportunità anche per i miei figli, che potevano vivere una vita per certi aspetti più sana, meno frenetica". Così Anna di quei lontani giorni.
"Tito aveva 10 anni, Eugenio 7. Il primo aveva finito la quinta Elementare a Milano, dove poi avrebbe frequentato il Conservatorio, nel quale non entrò per via della partenza – narra Luigi, guardando uno dei suoi figli che si trova fra i tavoli per continuare con impegno e passione l'attività di famiglia, che vede tutti dare il meglio di sé -. Erano piccoli, non potevamo contare su di loro: dovevamo rimboccarci le maniche e guidare la 'macchina' insieme! Io come sempre in cucina, lei al bar. Abbiamo fatto dei lavori importanti per avere maggiore spazio sia nel luogo del quotidiano impastare e mescolare sia nella sala dedicata agli ospiti. Poi anche fuori con la creazione, che ha richiesto diversi anni legati al permesso del progetto da parte dei Beni Culturali, del porticato dove un tempo c'era il gioco delle bocce. Lì giocavo con i miei amici in attesa delle merenda di Mario che prima affilava i coltelli, poi tagliava formaggi stagionati, salame, lonza e capocollo. Bei ricordi che rimangono nel cuore. Per il resto penso che sia giusto cambiare, rinnovarsi, offrire nuove possibilità: a se stessi e al luogo. Le persone lo hanno apprezzato: ne sono stato felice. Rimango della vecchia scuola: rispetto e saluto!"
"Quando abbiamo iniziato l'attività, Farfa era piena di gente! E c'era anche l'Accademia britannica impegnata negli scavi archeologici all'interno dell'Abbazia. Per due anni hanno mangiato da noi: dalla colazione alla cena. Anche se non parlavamo inglese".
"Vabbè ma a noi non importava perché dovevamo lavorare più che parlare!", così Luigi entra fra le parole di Anna che alzando gli occhi continua: "È stata una bella esperienza. E poi ricordo l'arrivo a Farfa della cugina della regina d'Inghilterra Elisabetta, Alexandra di Kent. Venne a Farfa per vedere i lavori di scavo, e con l'occasione venne anche nel nostro ristorante chiedendo con accento inglese: 'Pasta fresca? ' Non abbiamo fatto neanche una foto con autografo!".
"Se mi guardo intorno non abbiamo quasi mai chiesto foto e autografi Anna!" - osserva Luigi che di persone e personaggi ne ha visti tanti sostare anche nel ristorante del borgo farfense. Non solo a Milano -. Più che allo status degli ospiti seduti a tavola, penso alla qualità dei piatti che su quella tavola arriveranno per farli star bene. Almeno ci provo! Dopo il lavoro che mi vede in movimento e sempre attento, arriva la stanchezza e vado a riposarmi! Dico questo perché è successo più di una volta che alla fine di una lunga cena, qualcuno, noto o non, sia venuto in cucina a salutarmi, come del resto succede a tutti i cuochi, ma non mi abbia trovato perché ero già tra le lenzuola!"
"Infatti salutano me!", aggiunge Anna che con il suo spirito allegro ogni giorno viene a Farfa per mangiare con suo marito perché "anche se litighiamo ogni trenta secondi, se non lo vedo mi manca!"
"Come ho già raccontato, quando siamo venuti a Farfa, lei si occupava del bar ma anche della sala dove ha curato il rapporto con gli ospiti. Ci siamo sostenuti bene!", dice Luigi che continua a carezzarle la mano.
"È stata una bella prova per me che non l'avevo mai fatto! Prima di costruire la casa dove viviamo oggi, e che non dista molto dall'Abbazia, vivevamo sopra il locale. Ogni mattina, puntuale e ben sistemata, scendevo e aprivo il bar alle otto. Così incontravo il mondo che a Farfa, a parte la gente del posto, cambia continuamente. La domanda più frequente da parte dei turisti era e forse rimane: 'Ma la sera quando è buio come fate? '. Rispondevo che andavamo a letto. Oppure a Roma a ballare! E cosa si risponde? Farfa è un luogo tranquillo ma non è isolata. Con la macchina si arriva ovunque!"
"Le persone provenienti dalle grandi città non possono capire se non hanno mai vissuto in un borgo. Cara Anna per noi è diverso: ci siamo nati! Mi ricordo una signora che alloggiava dalle suore e che, di passaggio da noi per un cappuccino, si lamentava perché era stata svegliata alla buon ora dagli uccellini", ricorda il signor Lupi continuando una risata nata molti anni prima.
"Qualcuno però mi diceva che era bello venire a prendere il caffè qui perché, a differenza di quanto accadeva nei bar romani, si poteva parlare con qualcuno", con soddisfazione Anna.
"Tanti sono felici della tranquillità che trovano a Farfa e poi continuano a cercarla!", torna Luigi.
"Tranquilla e piena di fascino: spesso scelta come meta per i matrimoni che lungo le vie del borgo diventano sfilate di moda. Negli anni Ottanta si potevano vedere anche cinque celebrazioni al giorno. Quasi tutti convolavano a nozze. Oggi la situazione, soprattutto dopo il Covid, è cambiata: chissà se ci sarà un recupero!".
"Sono ottimista", interviene Luigi che con la passione ha raggiunto i suoi sogni.
"Si! Fiducia! È pur vero che i matrimoni sono diminuiti già da tempo e non a causa del Covid!" - riflette la signora Lupi, che riprende la strada che la vede giovane sposa -. Ci siamo sposati nel 1967 nella chiesa di Montopoli, il mio paese. Il 21 ottobre 2022 abbiamo festeggiato 55 anni di matrimonio!".
"Mi dovrebbero dare il premio nobel!", puntualizza ironico Luigi ad Anna che prontamente risponde: "A te? Tu senza di me: zero premi!"
"Anna tu mi devi seguire! lo ha detto anche don Lino, il sacerdote di Montopoli quando ci ha sposato: 'La moglie deve seguire il marito' – dice Luigi con un ghigno che sottende il contrario e aggiunge - In realtà mi volevo sposare in Comune ma poi…"
"Don Lino ti era simpatico però!", dice Anna riportando il marito dal Comune alla Chiesa.
"Confermo! Mi ricordo pure quando mi hai detto che dovevo fare la confessione! Tornato da Milano una settimana prima, andai dal prete del mio paese Coltodino, Don Davino. All'epoca non lo conoscevo. Con onestà gli dissi che ero lì perché mi dovevo sposare. Abbiamo iniziato a parlare del più e del meno. Si era fatto tardi. Lui doveva dire la messa. Io dovevo andar via e quindi gli chiesi se le Ave Maria avrei potuto dirle durante il viaggio di ritorno. 'Certo che sì' mi rispose. Così in quel 'più e meno' mi sono confessato e così è iniziata un grande amicizia con don Davino. Oggi quando ci incontriamo ricordiamo spesso il nostro primo incontro e le preghiere dette per strada, quelle che continuo a dire a modo mio. Se devo pregare sento che posso farlo ovunque. Non vado a Messa, ma sento di dover portare rispetto a tutta la comunità benedettina, che è il cuore di questo luogo. Ho cercato di contribuire a modo mio alle feste religiose come quella dedicata alla Madonna del 15 di agosto. Insieme all'amico Gustavo Scipioni e a tanti altri del vecchio Comitato si organizzavano cene all'aperto, lungo le strade del borgo. Io cucinavo".
"Ognuno a modo suo. Le porte della basilica sono aperte e quando sento di entrare vado. Così anche per le Messe. La comunità benedettina è sempre accogliente e disponibile all'ascolto. La vita nel borgo di Farfa ha tante sfaccettature legate all'amicizia, e a quella spiritualità che in ogni caso ti avvolge e ti accompagna nella quotidianità. Questo riguarda tutti noi, anche i miei figli e i miei nipoti Stefano, Valerio, e Andrea, che stanno crescendo fra queste viuzze, coltivando le loro passioni e ascoltando le nostre storie: quelle che i nostri nonni ci raccontavano vicino al fuoco. In ogni caso, di tutto quello che è stato non cambierei niente, soprattutto Luigi". Conclude Anna.