"San Benedetto pianto le radici cristiane del nostro mondo e della nostra cultura", l'omelia di Mons. Giuseppe Sciacca
lug122022

Reverendi e cari confratelli, fedeli e amici, siamo raccolti in questa nobile Chiesa abbaziale di Farfa che è come il cuore di quello che può essere considerato a buon diritto uno dei centri più significativi della storia del Monachesimo occidentale, per celebrare il vostro celeste e grande – direi gigantesco – Patrono, S. Benedetto, riconosciuto fondatore del Monachesimo occidentale, un autentico protagonista, non solo della storia della Chiesa, bensì pure della storia universale e, soprattutto, di questa nostra Europa, di cui Egli è considerato come un padre.

Figlio della civiltà romana, di cui aveva assimilato gli elementi più fecondi, quali il senso dell'istituzione e, soprattutto, della giuridicità, Egli, della civiltà latina, visse il tramonto, sotto la spinta travolgente, inarrestabile, epocale delle invasioni barbariche, che provocarono vere e proprie migrazioni di genti e di interi popoli, e contribuì – in maniera e misura decisiva – perché da questa crisi, da questo incontro – scontro tra civiltà nascesse – sotto l'ombra possente e salvatrice della Croce di Cristo – un nuovo mondo, una nuova cultura, una nuova civiltà: quella, appunto, cristiana.

S. Benedetto salvò la civiltà classica in tempo di barbarie, promosse l'arte, protesse e riorganizzò il lavoro e l'agricoltura, attraverso quel felicissimo binomio: ORA ET LABORA, che rappresenta e realizza un'armoniosa mirabile sintesi tra pensiero e azione, contemplazione e impegno pratico, preghiera appunto, e concreta attività.

Il suo stemma è eloquente: la Croce e l'aratro.
E ciò attraverso un duplice lavoro che si integra reciprocamente e si intreccia: "l'opus Dei", vale a dire l'incessante offerta a Dio del "sacrificium laudis", cioè della preghiera, e "l'opus manuum", quel necessario lavoro materiale che ha salvato la civiltà occidentale, consegnandola al futuro e animandola profondamente con i valori del Vangelo.
"Ora et labora": che descrive il monaco che sa di lavorare per Dio, ma sa anche che Dio lavora con lui e in lui.
In tal modo i Monaci impararono a rendere eroica la vita quotidiana e quotidiana, cioè accessibile, vera, reale, la vita eroica.

Aravano, dissodavano i campi e parimenti aravano e dissodavano il proprio cuore per offrirlo al Signore.
Benedetto nacque a Norcia, in Umbria, da nobile famiglia dell'aristocrazia senatoria romana, nel 480.
Dopo un primo periodo di formazione e di studio trascorso a Roma, si ritirò sui Monti Simbruini, presso l'odierna Affile e intraprese un cammino di ascesi, di penitenza, di contemplazione.
Fu, poi, per un triennio, a Subiaco, in ancor più severa solitudine, solo con se stesso, o meglio, con Dio.
Dopo una breve esperienza a Vicovaro – rifiutato da quei Monaci che respingevano il suo rigore, la sua severa disciplina - tornò a Subiaco e di lì a Cassino sul cui monte fondò la celeberrima Abbazia, ove chiude la sua feconda esistenza e ove si è, grazie a Benedetto, accesa una fiaccola di spiritualità e di civiltà umana e cristiana, che, pur tra alterne vicende, non ha cessato di splendere e di rischiarare la Chiesa e il mondo, e tutti gli uomini di buona volontà.

Cosa dice, oggi, il grande Santo Patriarca, a noi, che qui ne celebriamo la festa e ne invochiamo il patrocinio presso Dio?
"Ausculta, fili" sono le prime parole della sua Regola:
1) Ci ricorda di mettere sempre al centro della nostra vita e in cima ai nostri interessi e ai nostri pensieri, Iddio, Cristo Signore, la sua S. legge e il suo Vangelo: "Non anteporre nulla all'amore di Cristo" (Reg.).
2) Ci richiama al valore dell'ubbidienza e dell'umiltà. Ciò, certo, vale per i Monaci, ma vale per tutti i cristiani, che devono aver rispetto, carità gli uni per gli altri.
3) Ci invita alla preghiera: "ora et labora": importanza della preghiera liturgica, che culmina nella celebrazione della S. Messa, e della preghiera personale, intimo colloquio con il Padre nostro celeste, respiro della nostra anima.
Preghiera che per i Monaci è come un lavoro ("opus divinum"), e lavoro quotidiano che siamo chiamati a compiere in spirito di preghiera, umilmente ponendoci sotto lo sguardo di Dio "Sub superni speculatoris oculis".
Come abbiamo detto prima, S. Benedetto piantò le radici cristiane del nostro mondo e della nostra civiltà. S. Benedetto fondò, radicò in Dio e nel soprannaturale ogni umano impegno e ogni attività: con sano realismo scrive il Card. Newman che se l'occhio di S. Benedetto spazia nel cielo, il suo piede non perde mai il contatto con la terra.
Anche noi restiamo radicati in Dio, e nella Chiesa di Cristo, viviamo quaggiù con lo sguardo rivolto in alto; non rinunciamo, ma difendiamo e diffondiamo, con la parola e con l'esempio, la nostra identità spirituale e culturale e la nostra civiltà che è quella dell'amore e della carità – omnis exibeatur humanitas - insegnata e testimoniata da Cristo Signore e dai suoi Santi.

Amen