L'emozionante percorso della "Commedia Divina"
giu132022

C'è attesa. Una folla di gente riempie il cortile antistante l'ingresso della basilica dell'abbazia farfense. Le luci illuminano un'altra grande porta, quella che conduce ai resti dell'antica villa romana, è lì che lo sguardo volge. Il tempo passa e nascono gli interrogativi sul quando avrà inizio lo spettacolo. La porta non si apre, c'è solo un attore avvolto da un vestito che ricorda il manto rosso del poeta Dante così raffigurato dai pennelli dei più illustri pittori.

Cresce il desiderio di capire, cresce l'attesa. C'è un punto oltre il quale ci sarebbe il malcontento di chi aspetta. Un attimo prima la porta si apre. Ognuno occupa uno spazio non prestabilito intorno all'area che contiene gli antichi resti. E così ogni volto che osserva diventa parte dello spettacolo. Ognuno sceglie dove posare lo sguardo alla ricerca di un senso, il suo senso.

La scelta si dipana tra il basso e l'alto, che non è "l'ultimo alto". Nel fondo che scava nella terra si scorge uno scenario dove teli illuminati dal rosso fuoco dei fari avvolgono ciò che resta di una storia che il tempo ha trasformato. Giochi di luci e di ombre attraversate da corpi che si muovono con l'infernale fatica dell'uomo che esplora i suoi abissi. In alto, su una delle facciate del monastero, si stagliano le immagini che descrivono l'Inferno di Dante che diventa vivo attraverso una voce femminile e potente. L'altra voce è maschile, è quella del vate Virgilio. "E quindi uscimmo a riveder le stelle": con l'ultimo verso dell'Inferno si conclude il primo momento, la prima Cantica, la prima tappa dell'errare umano.

Gli spettatori ritornano nei loro panni e seguono gli attori per entrare all'interno dell'abbazia. In questo movimento il peso di ciò che si è visto, udito e respirato trova un suo equilibrio per fare spazio a ciò che verrà. Mentre si attraversano i corridoi sfiorati dalla luna, l'attenzione cade sul Chiostro illuminato di blu nel cui centro si erge la statua di San Benedetto. Non c'è nessuno. Gli attori sono altrove, gli spettatori li seguono. Rimane il quesito sul luogo appena osservato ma necessariamente ignorato. Ci ritorneremo? Chissà...

Si arriva nel Chiostro longobardo. La porta di accesso è piccola. Si entra uno alla volta. Ognuno riprende il suo posto arbitrariamente scelto, occupato. Le luci verdi riempiono ogni spazio rimbalzando da un muro all'altro. Al centro gli attori siedono sotto la statua di Santa Scolastica. Ma la metafora che troviamo tra le righe del Sommo Poeta pervade e trasforma anche la scena: Dante e Virgilio giungono ai piedi dell'alto monte del Purgatorio. Due donzelle – le Muse - vestite di bianco volteggiano con corpi, parole e sottili risate che cambiano il ritmo alla memoria infernale.
Suggestive le immagini proiettate che, in questo caso, coinvolgono anche gli spettatori che occupano quella parte di muro. Forme e parole che raccontano il percorso in salita, che tende alla luce, che muove le coscienze, che sa sperare.

Si spengono le luci e si riprende la strada verso l'ultima meta. Non è il chiostro blu, la direzione è opposta. Si cammina in fila, facendo attenzione.

Questa volta il percorso si snoda nei luoghi più interni dell'edificio abbaziale, illuminato dall'azzurro dei fari, una luce che ritorna e che ci accompagna insieme all'odore di una storia millenaria.

C'è una porta, si oltrepassa e si giunge nelle altezze della basilica. Le luci bianche conducono lo sguardo verso l'alto accompagnato dalle voci soavi di un coro. Tra tutte quelle di una donna che emana potente la salita in cielo. Pian piano i corpi vestiti di bianco attraversano la navata centrale per arrivare all'ingresso principale che con la sua apertura lascerà spazio al cielo stellato, al Paradiso raggiunto, dentro e fuori di noi.

Sono solo alcuni frammenti del lungo e articolato spettacolo, la "Commedia divina", che il Teatro Potlach, sotto la regia di Pino Di Buduo e con la collaborazione delle compagnie FanatikaTheatre (India) e Teatr Brama (Polonia), ha portato in scena lo scorso fine settimana all'Abbazia di Farfa. Anche il pubblico ha avuto la sua parte con il suo respiro, i suoi occhi e le sue emozioni.

Foto: Fabrizio Farese

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