"Cristo fra dolenti", la restauratrice Martina Comis racconta il suo lavoro: "un viaggio straordinario che rimane nel cuore"
lug72022

Commissionato dal Fondo edifici di culto (Fec) nel 2019, il lavoro di restauro del "Cristo fra dolenti" è durato quattro mesi. La mano della restauratrice Martina Comis ha seguito ogni fase per far emergere il lavoro originale che risale agli inizi del XV sec., definito periodo teutonico perché caratterizzato dalla presenza a Farfa di un gruppo di monaci provenienti da Subiaco ma di origine teutonica ("Farfa nel Quattrocento. La commenda degli Orsini e l'apporto teutonico" in "Spazi della preghiera, spazi della bellezza. Il complesso abbaziale di Santa Maria di Farfa", a cura di I. Del Frate, Roma 2015, p. 121).

L'opera ritrae il momento della crocefissione con il Cristo al centro, la Madonna sulla sinistra e San Giovanni sulla destra. Tra le tante peculiarità che rimandano al periodo teutonico quella del paesaggio che ricorda un'architettura tipicamente nordica.
Nelle foto si può vedere il prima, il durante e il dopo di un lavoro certosino eseguito nel totale rispetto dell'originaria opera. Le parole della restauratrice Martina ci prendono per mano per ripercorrere alcuni momenti del suo intervento. Un piccolo viaggio per capire cosa c'è dietro all'immagine che oggi possiamo ammirare nel corridoio che precede l'ex refettorio grande, oggi Sala Schuster.

"Parliamo di un affresco strappato quindi di un opera che ha subito le conseguenze di un metodo, detto a strappo, molto invasivo e che oggi non si usa più fuorché per opere che altrimenti si rischierebbe di perdere – spiega l'esperta Martina Comis -. L'affresco, come attestato da una foto presente nel libro del Beato Ildefonso Schuster, "L'Imperiale Abbazia di Farfa", era collocato su un campanile che successivamente venne demolito.
Negli anni Settanta per recuperare il dipinto si è pensato di procedere con l'asportazione della sola pellicola pittorica ossia solo del colore che, attraverso un procedimento estremamente delicato, si incolla su una tela. Tuttavia questa operazione crea un ibrido che subisce il degrado del dipinto murale e contemporaneamente il degrado del dipinto su tela sia da un punto di vista di supporto che di percezione estetica.
Nell'ultimo caso lo possiamo notare quando la tramatura della tela sottostante esce fuori. Sulla tramatura non si può intervenire e rimane visibile. A tal proposito voglio sottolineare l'importanza di un intervento non lesivo e che cerchi di ripristinare le condizioni analoghe a quelle murarie. Oggi, infatti, questo tipo di dipinto si incolla su dei pannelli che, essendo rigidi ed impermeabili, consentono di ripristinare delle condizioni analoghe a quelle murarie. Ma come ho già spiegato l'intervento è stato fatto negli anni Settanta e nel tempo i metodi sono cambiati e soprattutto perfezionati.

Nell'affresco "Cristo fra dolenti" la superficie era piena di residui di colla utilizzata per lo strappo, quindi il mio intervento è partito con la pulitura e il fissaggio costante perché con i micromovimenti la pellicola tende a muoversi. Poi l'ho stuccato e, infine, reintegrato con la pittura che rimane sia riconoscibile attraverso un tratteggio delle lacune che reversibile. I materiali utilizzati, come l'acquerello, sono tutti reversibili ossia possono essere asportati senza interferire con i materiali costitutivi dell'opera. Il mio tocco si può togliere con un colpo di spugna perché la cosa fondamentale per chi fa questo mestiere è il rispetto dell'opera originale. Per questo motivo il restauro è soggetto al degrado nel tempo ed è necessaria la manutenzione. Soprattutto in Italia il restauro è prima di tutto conservazione e la mano di chi opera deve rimanere sempre indietro rispetto all'artista. Non si può intervenire arbitrariamente.
Ci tengo a precisare che il nostro è un lavoro multidisciplinare che comprende: il restauratore, lo storico dell'arte e il chimico per l'analisi dei materiali. Il tutto sotto l'alta sorveglianza della Soprintendenza. Ho cercato di sintetizzare e rendere comprensibile un folto linguaggio tecnico che alla fine diventa un viaggio straordinario che rimane nel cuore. Mentre traccio in modo quasi meccanico punti piccolissimi entro in contatto con l'opera e ne osservo le particolarità. Nell'affresco teutonico ho subito notato il volto della Madonna che solitamente è giovane e serena. Qui attraverso pochi tratti traspare una figura più matura e particolarmente sofferente. Piccoli segni che mi fanno percepire la mano dell'artista, il suo sentire.
Concludo ringraziando il Priore Dom Eugenio Gargiulo e tutta la Comunità benedettina che durante il periodo del restauro mi hanno ospitato facendomi sentire a casa. Da lì è nato un rapporto di grande stima e fiducia che ancora oggi mi porta all'Abbazia per altri restauri a dimostrazione del costante impegno del Priore nel portare avanti progetti volti alla conservazione del grande patrimonio artistico, culturale e umano".

Foto: Itzel Cosentino

Galleria fotografica