Pillole di storia
Nato a Trevi il 24 giugno 1844, il Beato Placido Riccardi amava l'arte e tra tutte la musica. "E' impossibile di non gustare profondamente tutta la bellezza di tali armonie. Ciò che è bello, innocentemente bello, non può non fare impressione anche su di un'anima religiosa" scrive il card. Ildefonso Schuster nel suo libro "Profilo storico del B. Placido Riccardi o.s.b.", S.T.E.M., 1954; riportando le sue stesse parole.
La sua natura "viva e sensibile" lo portò a prediligere una vita che contemplasse la solitudine, il ritiro, il raccoglimento e la mistica contemplazione della verità contenute nella Regola di San Benedetto che dedicano all'orazione tra le sei e le sette ore al giorno.
In giovane età entrò come novizio corista nell'Abbazia di san Paolo fuori le mura di Roma. Era il 12 novembre 1866. Dopo un anno, il 19 dicembre 1867, la comunità di San Paolo, decise la sua ammissione alla santa professione. Iniziò così gli studi di filosofia e poi quelli di teologia che, con il suo "ingegno acuto ed equilibrato", compì con grande profitto. La sua vocazione per lo studio delle Sante Scritture, dei Santi Padri e della teologia morale è testimoniata da una cospicua produzione manoscritta di disertazioni teologiche che ci ha lasciato.
Ma, come spiega lo Schuster, peraltro suo amato discepolo, la sua sapienza non era mai osteggiata. Al contrario si poneva difronte all'altro con umiltà e semplicità, "tanto che nelle conversazioni domestiche coi confratelli la parte sua era sempre quella dell'ignorante". Il 7 febbraio 1871, emise nelle mani dell'abate di San Paolo – Revmo P.D. Francesco Leopoldo Zelli Jacobuzi - la professione solenne dei santi voti. E il 25 marzo dello stesso anno venne consacrato sacerdote e ministro del Signore.
Dopo la sua ordinazione sacerdotale perseguì un programma di vita fatto di preghiera e penitenze, "che continuò intrepido fino alla morte". Di lui lo Schuster ricorda il suo grande trasporto per la preghiera notturna che paragonava "alla rugiada antelucana, che rinfresca e feconda le aride zolle del campo".
Nell'estate del 1894, lasciato il suo ruolo di vicario abbaziale ad Amelia, fu nominato rettore dell'Abbazia di S. Maria di Farfa che versava in uno stato di quasi abbandono a tal punto che la piccola comunità monastica viveva stabilmente nel castello di Sanfiano, a Fara in Sabina, recandosi presso il Santuario più volte la settimana per le celebrazioni dei divini Misteri. A quel tempo la badia era nella più profonda solitudine, interrotta la domenica con l'arrivo dei residenti dei paesi limitrofi che, dopo ore di cammino, giungevano per ricevere i sacramenti dalle mani dei monaci, pregare davanti all'icona bizantina della Madonna di Farfa e riprendere la strada di casa nel tardo pomeriggio.
Nel momento in cui giunse nella bella Sabina, don Placido viveva per sei giorni da anacoreta mentre la domenica diveniva "tutto ardente di zelo per la salute delle anime convenute al santuario". E tutto questo in uno stato di salute contraddistinto spesso da febbri terzane che lo avevano tormentato sin dai suoi primi anni! La sua compassione e carità nei confronti dei più poveri divennero proverbiali in tutta la Sabina a tal punto che il popolo lo raggiungeva per bisogni di ogni genere. La sua parola d'ordine era di "farsi tutto a tutti, per trarre tutti a Gesù Cristo".
Per tanti anni aveva promosso le feste popolari per la solennità della Natività della Ss.ma Vergine, le frequenti funzioni religiose, le novene, l'esercizio della Via Crucis. E a tal proposito negli ultimi tempi del suo rettorato a Farfa aveva aperto una colletta tra i devoti per erigere nella basilica farfense le Stazioni della Via Crucis per le quali scelse le riproduzioni dell'Owerbek. Ma di lì a poco don Placido ebbe un attacco di paralisi con convulsioni così forti che sembrava essere prossimo alla morte. Così non fu e dopo un mese fu trasportato alla Badia di San Paolo. Era l'antivigilia del Natale 1912.
"La paralisi invase nuovamente le sue membra, ed egli divenne come un tronco rigido e immobile sul povero letticciuolo" scrive lo Schuster che gli fu costantemente vicino. Ma in quella figura sofferente, diveniva sempre più intenso il profumo di santità diffuso nel cenobio paolino. Malgrado le crisi violente e il dolore fisico, don Placido conservò nei due anni di calvario tutte le facoltà intellettive insieme alla sua infinita fiducia in Dio e alla sua volontà. Nella sua celletta mai ci fu parola che rivelasse ansia e, nonostante la debolezza, continuava a mostrare obbedienza alla Regola, compreso il digiuno. Tutta la sua giornata, oltre la quotidiana confessione, era "una preghiera giammai interrotta ed una continua meditazione del divin Crocifisso".
E venne il dies natalis. Era la sera del 15 marzo 1915 e, durante la preghiera alla Santissima Madre di Dio, "l'anima sua benedetta placidamente abbandonò il corpo e, accompagnata dalla Madonna, si presentò al Signore in cielo per ricevere la corona promessa".
I suoi 20 anni trascorsi a Farfa hanno lasciato un segno indelebile, quello di un uomo che attraverso la propria sofferenza ha indicato la strada di un rinnovamento morale che poggia su un dialogo costante con Dio e la sua Parola.
Celebrazioni liturgiche
Domani, in occasione dei 108 anni dalla scomparsa – dies natalis in cielo – del Beato Placido, la Comunità benedettina celebrerà le SS Messe alle ore 7:25 e alle ore 18 nella chiesa abbaziale dove nel 1957 venne traslata la sua salma (leggi l'articolo al link: https://www.abbaziadifarfa.it/redazione/articoli/la-salma-del-beato-placido-riccardi-ricoperta-di-cera-nella-chiesa-abbaziale/507 )
La celebrazione liturgica pomeridiana sarà accompagnata dalla Corale Mompeo-Farfa che intonerà il "Nuovo Inno al Beato Placido Riccardi" (datato tra il 1981 e il 1982, a cura di Dom Massimo Lapponi o.s.b. ed il M° Mauro Porfiri: leggi l'articolo al link https://ctbene.wordpress.com/2021/04/28/linno-al-beato-placido/ ).
Il testo dell'Inno al Beato Placido
1.Ode Don Placido Cristo dal ciel,
nel cuore suo parlare.
Ed all'Altissimo l'alma fedel,
per sempre vuol donare.
RIT. IGNOTO A TUTTI GLI UOMINI
ANCH'IO VORREI SIGNORE
DEL MONDO AD OGNI AMORE
SUL CUORE TUO MORIR.
2. Nel cuore provvido del Redentor,
dal mondo non amato.
Trova Don Placido l'aureo tesor,
d'ogni altro più pregiato. Rit.
3.In solitudine vuole serbar
del mondo la salvezza.
Ed un'assidua prece elevar,
sola al suo cuor dolcezza.Rit.
4.A noi dimentichi del Dio fedel
in fondo all'alma ascoso.
Mostra Don Placido l'intimo ciel,
sacro del cuor riposo. Rit.