La parabola del Figliuol Prodigo ci presenta un giovane solo, affamato e disperato, che, dopo una lunga insensibilità, avverte nascere in sé una dolorosa nostalgia e una dolce speranza: il ricordo della casa paterna che, dopo tante illusioni e delusioni, gli offre l'immagine di una calda e accogliente dimora. "Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza, e io qui muoio di fame! Mi alzerò e andrò da mio padre…" Quanti figli prodighi ci sono oggi nel mondo, ma quante poche dimore calde e accoglienti rispondono all'anelito del loro cuore disilluso! Visitando un'antica casa di famiglia, nobiliare, borghese o contadina, abbandonata o ridotta a museo, non si è mai risvegliato in te un segreto rimpianto, accompagnato forse dal pensiero: "oggi non siamo più degni di avere case così accoglienti"?
Vuoi essere in grado di offrire ai tuoi figli una casa che non sia un albergo di passaggio, un dormitorio gratuito, un luogo di raccolta per persone estranee tra loro, ma piuttosto una dimora di pace e di amore, un porto sicuro in cui trovare conforto dopo le tempeste della vita? Quindici secoli fa, mentre ogni traccia di civiltà sembrava dover scomparire in un mondo sconvolto da barbarie, invasioni, guerre e pestilenze, un uomo lasciò un documento pieno di saggezza per insegnare come una comunità possa vivere nella concordia e nella pace e formare così una vera "casa di Dio", in cui "nessuno si turbi e si rattristi": S. Benedetto. Non potrebbe oggi il suo insegnamento dimostrarsi prezioso non solo per uomini e donne consacrati a Dio, ma anche per giovani e meno giovani famiglie?
Ma insomma che cosa insegna di speciale S. Benedetto? Non c'è già tutto nel Vangelo? E poi non sono più importanti i missionari, i servi dei poveri o degli infermi o magari i politici e i rivoluzionari anziché i monaci chiusi nei loro monasteri? S. Benedetto non crea direttamente missionari, né servi dei poveri o degli infermi, né tanto meno politici o rivoluzionari: egli crea però le condizioni concrete perché la vita umana in una comunità - perché normalmente essa non può essere che comunitaria - possa svolgersi cristianamente in tutti i dettagli della giornata, senza impedimenti, e anzi con un continuo stimolo al miglioramento. Si tratta perciò di stabilire come si dorme, come si mangia, come si lavora, come si rispettano gli orari, il silenzio, la preghiera comune e privata, come deve essere fatta materialmente la casa perché "da saggi e saggiamente sia amministrata". Dalle astrazioni della spiritualità o dei progetti di miglioramento sociale si scende ad incarnare il Vangelo nella carne di tutti i giorni. Poi i monaci faranno tutte le opere buone richieste dall'amore del prossimo, ma senza mai venir meno ai doveri più immediati verso la comunità in cui vivono e che dà loro ogni sostentamento materiale e spirituale, e così li rende capaci anche di portare aiuto al mondo, non solo con le idee geniali o con le attività straordinarie, ma anche e soprattutto con l'esempio della carità esercitata nella vita di tutti i giorni.
Dunque alla luce della Regola di S. Benedetto e della successiva tradizione benedettina la famiglia moderna dovrebbe chiedersi: a che ora ci si alza? Come e quando si prega insieme? Quale deve essere la struttura dell'abitazione? Quale il luogo di culto? Come si mangia? Come si rispettano gli orari? Quali devono essere i turni di lavoro perché tutti imparino a servirsi a vicenda? Quale uso fare dei mezzi di moderna comunicazione perché non invadano tutto e non cancellino ogni relazione umana e naturale? Quali devono essere gli orari del riposo e del silenzio? Quali libri devono girare per casa? Quale è la funzione della biblioteca? Quale musica, quali canti si devono amare e praticare? Quali vestiti indossare? Quali quadri, quale arte deve ornare l'abitazione?
Senza un ambiente e un costume sociale che la sostengano nella pratica giornaliera, la vita del singolo non può realizzarsi secondo un ideale di rettitudine umana e cristiana. Ciò significa che non basta evangelizzare l'intelligenza del singolo con belle catechesi e non basta neanche evangelizzare il cuore, la volontà e le opere del singolo con la pratica delle virtù evangeliche: è necessario creare ambienti sociali regolati nella vita di tutti i giorni da costumi, da tutti condivisi, rettamente ispirati alla saggezza umana e cristiana. Ora, qual è l'ambienta sociale fondamentale per la vita umana, il più facile da raggiungere, il più disponibile all'ascolto e che sta maggiormente a cuore alla Chiesa? Naturalmente la famiglia. Ma purtroppo anch'essa è esposta alla maggiore degradazione, perché la vita che si svolge nella casa quasi universalmente subisce il condizionamento di un andazzo comune passivamente accettato come una fatalità ineluttabile. Di fronte a un costume diffuso che, senza chiedere il permesso, prima ancora che incominci la convivenza, si insedia da padrone nell'abitazione, i singoli - siano marito, moglie o figli - si sentono e sono impotenti. Televisione sempre accesa e disponibile ad ogni messaggio, uso selvaggio e spesso precocissimo e irresponsabile dei moderni mezzi elettronici (internet, playstation, giochi e giochetti elettronici, cellulari etc.), orari disattesi, mensa disertata, liberi rientri notturni dei giovani, libri, riviste, giornali e giornaletti di genere deteriore che girano senza riguardi per la casa, abbigliamento giovanile pronto a seguire senza ritegno qualsiasi moda, pseudomusica che aleggia per la casa o si intrufola nei cervelli attraverso le cuffie, ornamenti e immagini di ogni gusto e genere - rarissimamente di arte bella classica o di religione -, genitori e figli sempre assenti, con il centro dei loro interessi sempre fuori della casa… Che altro? E' possibile in questo contesto non rimanere vittima del costume sociale imperante, della propaganda commerciale più cinica, dell'immoralità dilagante attraverso i potentissimi moderni mezzi di comunicazione di massa? A cosa servono le belle prediche e le belle catechesi? Tornando a casa il singolo, anche meglio disposto, si trova disarmato di fronte al suo ambiente familiare.
Se non vuoi che la tua famiglia sia un ostacolo per il bene che è in te, non bisognerà andare controcorrente e riformare l'andazzo comune, anziché accettarlo passivamente come una fatalità ineluttabile? Ma come fare? Forse S. Benedetto può darti buoni suggerimenti.
S. Benedetto e la tradizione monastica hanno voluto ordinare la vita quotidiana di una comunità alla luce della saggezza umana e cristiana, perché il singolo che voglia vivere cristianamente non sia ostacolato, ma al contrario sia sostenuto nella sua scelta di vita dalla comunità di cui fa parte. Questo ordinamento presenta due elementi: la disposizione pratica delle azioni e la disposizione interiore che deve animarle. Il primo elemento comporta le modalità e gli orari da seguirsi nei vari ambiti dell'agire (cioè il lavoro, il riposo, i pasti, le uscite, il vestire etc.). Il secondo comporta le relative disposizioni spirituali, cioè l'umiltà, l'obbedienza, la carità, la preghiera, l'ascolto di Dio etc. e le condizioni concrete che le favoriscono. Da questi due elementi e dal loro intrecciarsi scaturisce un quadro completo e dettagliato di vita comunitaria, frutto del ripensamento della tradizione monastica precedente attuato da S. Benedetto dopo anni di esperienza e sviluppato poi successivamente dai suoi seguaci nel corso dei secoli. Cercheremo ora di desumere da questa tradizione i vari aspetti, esteriori e interiori, secondo i quali dovrebbe ordinare la propria vita una famiglia che voglia cercare di sottrarsi al disordine oggi imperante attraverso la saggezza umana e cristiana benedettina (1). Per prima cosa cercheremo di elencare due serie di disposizioni - esteriori e interiori - ispirate alla Regola di S. Benedetto e ai suoi sviluppi e adattate allo spirito di una famiglia.
1. Le disposizioni esteriori riguarderanno: il lavoro (domestico, professionale, creativo), il riposo, i pasti, i vestiti, le uscite, gli ambienti, gli arredi, gli strumenti.
2. Le disposizioni interiori dipenderanno in massima parte da quegli aspetti della vita di famiglia ordinati più direttamente a coltivare il cuore e la mente: la preghiera, comune e privata, la carità all'interno e all'esterno della famiglia, il servizio reciproco, il dialogo fraterno, i tempi e i modi della conversazione e del silenzio, la lettura, lo studio, la musica, il canto sacro e profano, lo svago e l'arte più tradizionali, i mezzi moderni di divertimento, di espressione artistica e di comunicazione, l'ordinamento dell'abitazione (il luogo di culto, la biblioteca, l'ambiente del lavoro comune, la decorazione artistica, gli oggetti e le immagini devozionali).
I fratelli si servano l'un l'altro, sicché nessuno sia dispensato dall'ufficio della cucina, se non perché infermo ovvero occupato in affare di grande utilità, giacché con ciò si guadagna una maggiore ricompensa e un maggior merito di carità.
Il lavoro domestico - S. Regola, c. 35
I fratelli si servano l'un l'altro, sicché nessuno sia dispensato dall'ufficio della cucina, se non perché infermo ovvero occupato in affare di grande utilità, giacché con ciò si guadagna una maggiore ricompensa e un maggior merito di carità.
Come in tutti i punti che esamineremo in seguito, appare già in questo che per S. Benedetto il lavoro manuale è di fatto un impegno spirituale, perché l'umile servizio domestico - in questo caso la cucina - significa esercizio di carità fraterna, vittoria sul proprio egoismo e sulla propria pigrizia, imitazione di Cristo obbediente e sofferente. Applicato alla vita di famiglia, questo insegnamento di S. Benedetto appare non semplicemente una norma pratica per alleviare il lavoro domestico della madre, distribuendone l'onere su tutti i membri della famiglia: ancor più che questo, esso è un potentissimo mezzo educativo, attraverso il quale i figli - ma naturalmente anche gli adulti - imparano, non con le parole ma con i fatti, che cosa significhi la pratica dell'amore fraterno e acquisiscono, con l'esercizio di ogni giorno, le virtù della carità, della laboriosità, della pazienza, della cura, della precisione. Senza questa integrazione, la lezione di catechismo serve a poco. E' superfluo sottolineare quale influsso positivo avrebbe questa pratica - e le altre di cui parleremo in seguito - sull'affezione reciproca, sulla mutua comprensione - anche generazionale -, sulla stabilità della famiglia.
Il lavoro professionale - S. Regola, c. 57
Se nel monastero vi sono fratelli esperti in qualche arte, la esercitino pure, ma con tutta umiltà e solo con il consenso dell'abate. Se però qualcuno di loro s'insuperbisce per la perizia che ha nell'arte sua, perché crede di portare un utile al monastero, costui sia tolto dall'esercizio di quell'arte e non vi sia più ammesso, salvo che non si umili e l'abate non glielo permetta di nuovo.
Anche su questo punto l'insegnamento di S. Benedetto può essere prezioso per la vita di famiglia. Infatti la Regola richiama il principio fondamentale che ciò che più conta non è l'abilità professionale o il titolo di studio o la posizione nella società, ma l'umile conoscenza della propria povertà davanti a Dio e la disponibilità al sacrificio di se stessi e del proprio interesse o piacere per il servizio fraterno. In questa luce, il lavoro di casa può essere più fecondo di benedizioni per chi lo esercita e per tutta la famiglia che non il più brillante lavoro professionale, anche se questo apporta - almeno apparentemente - maggiori vantaggi finanziari. Questi vantaggi, infatti, potrebbero essere gravemente compromessi dalla mancanza di umiltà e di carità, dalla conseguente mancanza di reciproca affezione in famiglia, dalla scala di valori sbagliata preposta all'educazione dei giovani. S. Benedetto non si fa incantare dalle prospettive di un maggiore benessere economico o prestigio sociale: ciò che per lui conta è il bene delle anime e l'armonia fraterna che ne deriva. Un saggio abate diceva: non abbiamo bisogno di professori, ma di monaci. Analogamente si potrebbe dire: non abbiamo bisogno di professionisti, ma di madri, padri, figli e figlie, che anche nella vita sociale non dovranno essere soltanto professionisti. C'è da aggiungere, poi, che qualsiasi professione guadagna sotto tutti gli aspetti ad essere umilmente posposta e subordinata al vero bene delle anime.
Il lavoro creativo (artistico e artigianale) - S. Regola, c. 31
Consideri come vasi sacri dell'altare tutti gli oggetti e i beni del monastero.
Per illustrare questo punto - come altri che vedremo in seguito - dobbiamo tener conto della plurisecolare tradizione benedettina. Se S. Benedetto non parla mai di arte, i monasteri dei suoi monaci attraverso i secoli si sono sempre segnalati per produzioni artistico-artigianali legate alla vita di preghiera e di lavoro di tutti i giorni. I libri liturgici sono stati ornati di splendide miniature, i paramenti sacri sono stati confezionati con mirabili ricami, i vasi dell'altare hanno offerto l'occasione di lavori di oreficeria, i cori lignei sono stati intarsiati artisticamente, senza parlare delle opere di architettura, di pittura, di scultura relative a chiese, cappelle, chiostri, ambulacri e luoghi di vita comune. A queste espressioni più propriamente artistiche si possono aggiungere attività artigianali minori, quali il cucito, il rammendo, la confezione di dolci etc. In tutte queste cose la cura ordinaria e non ordinaria per il culto e per l'ordine della casa, che si esprime spesso nel lavoro domestico, riceve un'ispirazione spirituale ed estetica che scaturisce dalla coscienza umana e religiosa dei monaci e che aggiunge ai vantaggi, già rilevati, del lavoro manuale un elemento nuovo. Notava il Förster che spolverando con cura delle statuine di porcellana si impara a trattare il prossimo con delicatezza e rispetto. Se a questo si aggiunge l'impegno, spesso assai arduo, di trasfondere nei materiali e negli oggetti d'uso l'espressione sensibile della propria creatività e del proprio amore per un ideale estetico umano e religioso, il lavoro diventa nello stesso tempo altamente educativo, come dominio dell'anima sul corpo e sul mondo sensibile, e fonte di intima gioia per sé e per gli altri. Da quanto detto si può comprendere il danno causato dalla quasi totale sparizione del lavoro artistico artigianale nella vita quotidiana delle famiglie e dalla sua sostituzione con il lavoro puramente mentale astratto dello studio scolastico, con l'attività professionale fuori casa e con giochi e divertimenti fondati su artifici elettronici e spettacoli televisivi assorbiti per ore passivamente. Si è notato nei giovani di oggi un disordine materiale e mentale che viene facilmente corretto con l'impegno assiduo in attività manuali e artigianali. Vorrei aggiungere che l'attuale decadenza delle arti belle in gran parte dipende, senza alcun dubbio, dalla mancanza di quella base familiare artigianale di cui abbiamo detto, che nessuna accademia può sostituire. E' superfluo a questo punto sottolineare quanto la famiglia attuale potrebbe imparare, in questo campo, dalla tradizione benedettina.
Appena si sono alzati da cena, vadano tutti a sedersi insieme, ed uno legga le "Collazioni" o le "Vite dei Padri" o altra opera che edifichi gli ascoltatori; ma non i primi sette libri della Bibbia o quelli dei Re, perché alle menti deboli non sarebbe utile a quell'ora udire questi libri della scrittura... Quando poi [la mattina] si alzano per l'Opera di Dio, si esortino delicatamente a vicenda per impedire le scuse dei sonnolenti.
Appena si sono alzati da cena, vadano tutti a sedersi insieme, ed uno legga le "Collazioni" o le "Vite dei Padri" o altra opera che edifichi gli ascoltatori; ma non i primi sette libri della Bibbia o quelli dei Re, perché alle menti deboli non sarebbe utile a quell'ora udire questi libri della scrittura... Quando poi [la mattina] si alzano per l'Opera di Dio, si esortino delicatamente a vicenda per impedire le scuse dei sonnolenti.
La Regola e la tradizione benedettina prevedono momenti di ricreazione comune dopo pranzo e dopo cena, per distendersi dalle fatiche del giorno. Per S. Benedetto il momento di distensione dopo cena diventa un momento di lettura spirituale, seguito dalla preghiera conclusiva della giornata - compieta - e dal riposo notturno, che naturalmente è regolato da un orario preciso. Un orario preciso è previsto anche per la levata mattutina, che avviene molto presto, specialmente d'estate. Per un'applicazione di queste consuetudini alla vita di famiglia, si potrebbero ritenere tre punti: la sera è un momento di distensione da dedicare, prima del riposo notturno, a letture e attività che ricreino lo spirito; suonata l'ora stabilita - non troppo tardi - tutti si ritirino per il riposo; fin da piccoli i bambini devono abituarsi ad alzarsi presto senza indulgere alla poltroneria. Osserviamo come queste norme siano oggi del tutto disattese: la sera ci si dà facilmente ad attività e divertimenti rumorosi ed estenuanti, spesso fuori casa e fino a tarda notte; non esistono orari comuni per il riposo notturno; bambini e adulti quando possono sono capaci di dormire anche fino all'ora di pranzo e oltre. In ciò è assolutamente necessario andare contro corrente: lo richiedono esigenze di carattere spirituale e fisico. Nel secolo XIX Alphonse Gratry scrisse una pagina meravigliosa intitolata La sera e il riposo, che non ha perso nulla della sua attualità. Ne riportiamo alcune frasi: "L'impiego della sera! Il rispetto della sera! Che importante questione pratica!.. E' qui principalmente che bisogna saper romperla con le presenti abitudini... Che cosa sono le nostre conversazioni della sera, le nostre riunioni, i nostri giuochi, le nostre visite, i nostri spettacoli?.. Si dirà che è riposo. Io lo nego. Colui che dissipa, non riposa. Il corpo, lo spirito, il cuore, consumati, dissipati fuori di se stessi, si precipitano dopo una serata inutile in un pesante e sterile sonno, che non dà alcun riposo, perché la vita troppo dispersa non ha più né il tempo né la forza di ritemprarsi nelle sue sorgenti... Certamente è necessario il riposo; e noi abbisognamo oggi di riposo ben più che di lavoro... Noi siamo sterili per mancanza di riposo più ancora che per mancanza di lavoro... Il riposo è la vita che si raccoglie e si ritempra nelle sue sorgenti... La vita dovrebbe comporsi di lavoro e di riposo, come il succedersi del tempo su questa terra si compone del giorno e della notte... Il riposo, morale e intellettuale, è un tempo di comunione con Dio e con le anime, e di gioia in questa comunione... Nulla ci porta così potentemente al vero riposo che la musica vera. Il ritmo musicale rende regolare in noi il movimento e fa, per lo spirito e per il cuore ed anche per il corpo, quello che fa soltanto per il corpo il sonno, che ristabilisce nella sua pienezza e nella sua calma il ritmo dei battiti del cuore, della circolazione del sangue e del respiro. La vera musica è sorella della preghiera come della poesia. La sua influenza, riconducendo verso le sorgenti, rende subito all'animo il vigore dei sentimenti, dei lumi, degli slanci (2). Come la preghiera e come la poesia, con le quali si confonde, riconduce verso il cielo, luogo del riposo... Che il riposo della sera sia un commercio di spirito e d'anima, uno sforzo comune verso il vero con un facile studio delle scienze, verso il bello con le arti, verso l'amore di Dio e degli uomini con la preghiera; date dei germi luminosi e delle sante emozioni al sonno che viene e durante il quale Dio stesso li coltiverà nell'anima del figlio suo addormentato." E' importante osservare che la moderna biologia conferma pienamente quanto scrive il Gratry a proposito del riposo del corpo: tutte le forti sollecitazioni che l'organismo riceve durante il giorno provocano risposte continue dell'apparato cellulare, con errori e squilibri che il sonno notturno ha il compito di correggere e armonizzare. La mancanza di sonno notturno adeguato provoca invecchiamento precoce. Questo funzionamento si estende anche alla sfera infraumana e, nelle epoche precedenti lo sviluppo della vita animale, ha permesso, con l'alternarsi del giorno e della notte, lo sviluppo del mondo vegetale. Da quanto detto si potrebbero ipotizzare regole che stabiliscano, per le ore serali che precedono il riposo notturno, una sostanziale diminuzione nell'uso (che non deve essere né esclusivo, né quotidiano e indiscriminato, ma scelto e moderato) della televisione e delle videocassette o DVD - da vedere possibilmente insieme - e soprattutto la ricerca della comunione di spirito tra familiari tramite il dialogo, la fruizione condivisa del pensiero e dell'arte - specialmente musica e poesia -, la preghiera comune
Nota 2
Durante il giorno le occupazioni professionali e scolastiche e le troppe dissipazioni allontanano dall'attenzione le ispirazioni e gli ideali superiori della vita e si rimane concentrati sugli interessi immediati. Spetta al momento della distensione serale risvegliare i più vasti orizzonti dell'anima e le più profonde e vere aspirazioni.
Alla mensa poi, chi non sia arrivato prima del verso, in modo che tutti insieme dicano il verso e preghino, e tutti insieme pure si siedano a mensa, se la mancanza è dovuta a negligenza o cattiva volontà, sia ripreso per questa colpa sino alla seconda volta... Nulla è così sconveniente ad ogni cristiano quanto l'eccesso del cibo, come dice il Signore nostro: 'Siate attenti perché i vostri cuori non siano aggravati dal soverchio cibo.'.. Alle mense dei fratelli non deve mancare la lettura.
Alla mensa poi, chi non sia arrivato prima del verso, in modo che tutti insieme dicano il verso e preghino, e tutti insieme pure si siedano a mensa, se la mancanza è dovuta a negligenza o cattiva volontà, sia ripreso per questa colpa sino alla seconda volta... Nulla è così sconveniente ad ogni cristiano quanto l'eccesso del cibo, come dice il Signore nostro: 'Siate attenti perché i vostri cuori non siano aggravati dal soverchio cibo.'.. Alle mense dei fratelli non deve mancare la lettura.
Gli insegnamenti che una famiglia dovrebbe trarre dalla Regola di S. Benedetto su questo argomento si potrebbero riassumere nei seguenti quattro punti: 1. il pasto deve essere preceduto dalla preghiera comune 2. per quanto è possibile tutti rispettino gi orari stabiliti e siano presenti fin dalla preghiera iniziale 3. nel mangiare e nel bere si rispetti la sobrietà e la mortificazione cristiana 4. non è conveniente per una famiglia, che non è una comunità religiosa, il silenzio e la lettura a tavola, ma ciò non toglie che il pasto deve essere un momento di comunione umana e spirituale tra i presenti - come era uso presso tutte le culture tradizionali - specialmente oggi, quando gli impegni di lavoro e di studio tengono separati i membri della famiglia per quasi tutto il giorno. Per questo dovrebbe essere escluso l'uso della televisione durante i pasti e dovrebbe essere invece favorita la conversazione cordiale tra tutti. Ciò sarà tanto più facile se, come si è detto sopra, i lavori di cucina, di servizio, di lavatura e di riordino non ricadono tutti su una persona, ma sono condivisi caritatevolmente da tutti. Si può aggiungere che una nota assai importante per rendere più viva la gioia del pasto comune è la qualità della cucina e perciò il perfezionamento nell'arte culinaria. Anche questo è un aspetto che non è mancato nella tradizione della vita monastica e anch'esso rientra nel discorso già fatto sul valore educativo del lavoro artigianale.
Noi... riteniamo che bastino per ciascun monaco la tunica, la cocolla... lo scapolare... Anche le cocolle e le tuniche per il viaggio siano alquanto migliori di quelle che hanno usualmente.
Noi... riteniamo che bastino per ciascun monaco la tunica, la cocolla... lo scapolare... Anche le cocolle e le tuniche per il viaggio siano alquanto migliori di quelle che hanno usualmente.
Già al tempo di S. Benedetto i monaci avevano un abito che li distingueva dai secolari, ma S. Benedetto si preoccupa soprattutto della povertà del religioso, il quale non deve avere nulla di superfluo. Notiamo però che non manca nella Regola un preoccupazione per la decenza, soprattutto quando si va in viaggio. La successiva tradizione benedettina, rappresentata in questo soprattutto dal movimento cluniacense - X-XI sec. -, ha sviluppato la solennità degli abiti corali per la liturgia. Così la cocolla, che originariamente era un abito monastico molto semplice, divenne un abito disegnato artisticamente, adatto alle più solenni celebrazioni liturgiche. Osserviamo dunque per prima cosa che S. Benedetto non lascia al caso questo particolare della vita quotidiana, ma dà delle norme precise. Già questo è un insegnamento da seguire. Adattando poi la tradizione benedettina alle circostanze proprie della vita di famiglia, si può sottolineare da una parte l'esigenza della sobrietà e della rinuncia al lusso eccessivo - e oggi anche alla stravaganza e all'indecenza, resistendo in questo alle fortissime pressioni della moda e della propaganda commerciale - e dall'altra la cura per un'estetica realmente espressiva dell'indole intima della persona e della famiglia. In questa prospettiva le riviste di moda di fine Ottocento e dei primi del Novecento non sono soltanto una preziosa lezione di costume, ma anche una vera scuola di spiritualità.
I monaci che devono essere mandati in viaggio, si raccomandino alla preghiera di tutti i fratelli e dell'abate; e sempre all'ultima orazione dell'Ufficio divino si faccia memoria di tutti gli assenti.
I monaci che devono essere mandati in viaggio, si raccomandino alla preghiera di tutti i fratelli e dell'abate; e sempre all'ultima orazione dell'Ufficio divino si faccia memoria di tutti gli assenti.
La vita monastica implica una stretta comunione con la propria comunità, con la sua vita e con tutte le sue necessità. Per S. Benedetto non c'è posto in essa per l'individualismo e per l'indifferenza asociale e egoistica, oggi purtroppo tanti diffusi. Pur senza seguire il rigore delle norme benedettine che regolano le assenze dei monaci in vista del loro bene spirituale, da raggiungere tramite l'obbedienza e la sollecita carità verso i fratelli, una famiglia potrebbe imitare lo spirito benedettino richiamando i suoi membri a privilegiare la vita in famiglia rispetto alle attività esterne. Come abbiamo accennato, la vita domestica, se ben regolata, richiede una cura per le necessità giornaliere di tutti e per il mantenimento e il miglioramento, anche estetico, dell'ambiente che per lo più manca nelle attività esterne - professionali, scolastiche o di divertimento - e che è altamente educativa per la formazione del carattere e del senso sociale e artistico. Per questo si potrebbero ipotizzare norme non rigide che favoriscano il generale rispetto degli orari, il rientro serale non troppo ritardato e soprattutto la sollecitudine di tutti per la fraterna conduzione della vita comune. Ciò naturalmente non per coltivare l'egoismo familiare, ma al contrario per educare i membri della famiglia ad una carità non teorica, ma pratica, che si faccia coinvolgere nei faticosi impegni richiesti dal servizio reciproco, fondamento di ogni vera attività sociale. La mia esperienza personale mi ha insegnato che in monastero e in campagna il senso sociale si sviluppa assai più che in famiglia e in città. Faccio un esempio eloquente. Quando ero a Roma in famiglia la città era così piena di rumori che qualsiasi suono mi lasciava indifferente ed io continuavo a pensare ai fatti miei. Venuto in monastero in campagna all'inizio continuavo ad agire allo stesso modo: se si udiva un botto o un rumore insolito non ci badavo. Ma poi venivano a chiamarmi e a rimproverarmi perché non mi ero interessato di ciò che stava accadendo. Così a poco a poco ho imparato ad essere sempre attento all'ambiente in cui vivo e alle necessità della casa, delle persone, della vita comune.
Il monastero, se è possibile, dev'essere organizzato in modo che tutte le cose necessarie, cioè l'acqua, il mulino, l'orto e le officine delle diverse arti si trovino dentro l'ambito del monastero, perché i monaci non abbiano alcuna necessità di andar vagando fuori: ciò che non giova assolutamente alle anime loro.
Il monastero, se è possibile, dev'essere organizzato in modo che tutte le cose necessarie, cioè l'acqua, il mulino, l'orto e le officine delle diverse arti si trovino dentro l'ambito del monastero, perché i monaci non abbiano alcuna necessità di andar vagando fuori: ciò che non giova assolutamente alle anime loro.
La quantità, la qualità, la disposizione degli ambienti dipende dalle scelte fatte da chi fonda una famiglia, o anche dall'eredità delle famiglie di origine. Molto spesso le scelte sono fortemente condizionate dalle scarsezze economiche o dalle situazioni difficili, o a volte anche tragiche, delle nostre città. Ad ogni modo, per quanto è possibile, i fondatori di una convivenza domestica dovrebbero tener conto del fatto che soprattutto nell'ambito della casa si svolge - o dovrebbe svolgersi - la vita più vera dei membri della famiglia. Più vera nel senso che assai spesso la professione o lo studio ci fanno concentrare su un aspetto della realtà astrattamente isolato dalla interezza della vita. Così il medico analista si occuperà del sangue, la cassiera degli scontrini, il banchiere degli assegni, l'universitario di una scienza particolare etc. E' evidente che questi sono per così dire frammenti di vita, che andrebbero riportati all'intero. Ma questo intero si dovrebbe ritrovare soprattutto nella vita domestica. Gli ambienti della casa perciò devono favorire la presenza assidua dei membri della famiglia con la loro praticità e gradevolezza. Possibilmente ogni membro della famiglia, o ogni nucleo subordinato - sposi, maschietti, femminucce -, dovrebbe avere la sua stanza e nella stanza trovare un ambiente invitante come residenza abituale e luogo principale della propria attività.
Se qualcuno tratterà con poca pulizia o con negligenza le cose del monastero, venga ripreso. Se non si emenderà, sia sottoposto alla punizione regolare.
Se qualcuno tratterà con poca pulizia o con negligenza le cose del monastero, venga ripreso. Se non si emenderà, sia sottoposto alla punizione regolare.
Perché sia praticamente adatto allo scopo cui è destinato e nello stesso tempo gradevole e invitante, ogni ambiente deve essere fornito dell'arredo conveniente. E' molto importante anche l'aspetto estetico degli arredi, determinato anche dagli elementi ornamentali. Ciò implica, non soltanto una scelta mirata nell'acquisto dei mobili, ma anche la cura da parte di tutti i membri della famiglia per l'ordine e per la pulizia. L'impegno lavorativo a ciò dedicato - che, come si è detto deve essere equamente e caritatevolmente distribuito su tutti - ha un grandissimo valore educativo, sia perché contribuisce a creare il senso della responsabilità per la casa comune e per la propria stanza, sia perché abitua alla fatica fisica, al sacrificio, alla precisione, al senso della giustizia e della carità e inoltre al senso estetico. Quest'ultimo aspetto - a cui bisogna dare grande rilevanza - potrà essere molto accresciuto se ci si dedica a creare con le proprie mani mobili e ornamenti artistici per la casa. La frammentazione del lavoro professionale, l'astrattezza del lavoro mentale, la meccanizzazione delle moderne attività industriali, potranno essere grandemente compensate da un'attività manuale creativa e artistica esercitata per abbellire la propria dimora.
E perché questo vizio della proprietà sia strappato fin dalle radici, l'abate dia tutto ciò che è necessario; cioè la cocolla, la tunica, le calze, le scarpe, la cintura, il coltello, lo stilo, l'ago, il fazzoletto, le tavolette, in modo da togliere ogni pretesto di bisogno... Quel che è in più è già superfluo, e deve eliminarsi
E perché questo vizio della proprietà sia strappato fin dalle radici, l'abate dia tutto ciò che è necessario; cioè la cocolla, la tunica, le calze, le scarpe, la cintura, il coltello, lo stilo, l'ago, il fazzoletto, le tavolette, in modo da togliere ogni pretesto di bisogno... Quel che è in più è già superfluo, e deve eliminarsi
Per quanto riguarda la qualità e la quantità degli strumenti, di lavoro e di svago, una famiglia non si regolerà esattamente in conformità con il voto di povertà proprio della vita consacrata, ma una certa analogia con le disposizioni della Regola potrebbe essere utile da diversi punti di vista. Per prima cosa una famiglia cristiana deve, in ogni caso, evitare il lusso, gli sprechi, le superfluità. L'attuale diffusa tendenza a riempire la camera dei bambini con una quantità strabocchevole di giocattoli e ninnoli vari è veramente deleteria per la formazione del carattere dei piccoli. Essa fomenta in essi la mollezza, l'eccitabilità, l'avidità, l'egoismo. Ma S. Benedetto può suggerirci soprattutto di commisurare le nostre scelte allo scopo: dobbiamo far sì che il bambino - e non solo lui naturalmente - trovi nella sua stanza la dimora adatta per una sana vita di contatto umano, di gioco, di lavoro, di studio, di riposo. Per tutte queste cose deve essere dosato con la massima sobrietà e saggezza l'uso di strumenti elettronici, oggi purtroppo accolti acriticamente nella dotazione dei piccoli senza alcun criterio di cernita. A questo deleterio costume si deve opporre la seguente considerazione: il bambino si trova in un'età di sviluppo iniziale, in cui tutto il suo apparato neuro-cerebrale è in fase di formazione. In questa situazione egli ha assoluto bisogno di un contatto con il mondo reale, contrassegnato dall'esperienza della distanza, del peso, dello sforzo, del freddo, del caldo, del rapporto vivo con la natura, inanimata e vivente, e con gli uomini. Tutto ciò non può essere assolutamente sostituito dal mondo virtuale, che non ha i caratteri propri della realtà. Dunque un coinvolgimento precoce e prolungato dei piccoli nell'uso degli strumenti elettronici - siano essi schermi di vario genere, cellulari, cuffie o altro - è assolutamente deleterio. Soltanto quando l'essere umano si è bene inserito e fondato nelle relazioni naturali e umane, costitutive di una sana personalità, potrà arricchire l'esperienza propria ed altrui con i moderni strumenti di comunicazione. Per poter comunicare, infatti, bisogna prima avere acquisito un fondamento stabile di realtà da comunicare. Anche a livello intellettuale, sostituire le operazioni proprie della mente - ad esempio il calcolo matematico - con surrogati elettronici - ad esempio la calcolatrice - non può non inquinare lo sviluppo dell'intelligenza. Del resto l'abuso del mondo artificiale dell'elettronica non nuoce soltanto ai bambini, ma anche agli adulti, se pure meno gravemente. L'elettronica deve sempre avere un ruolo sussidiario e marginale e mai essenziale e centrale nell'esperienza umana.
Posti questi principi, potremmo formulare le seguenti norme, negative e positive: 1. fino ad una certa età - da stabilire con gli esperti - l'uso degli strumenti elettronici deve essere ridotto al minimo, o anche eliminato. 2. per questo sono da bandire la televisione personale in camera, i video-giochi, i cellulari, le cuffie etc. 3. dopo una certa età si potrà fare un uso moderato di alcuni strumenti elettronici: personalmente escluderei completamente i video-giochi. L'uso della televisione deve essere sempre moderato, non prolungato, non abitudinario, non solitario, ma programmato per circostanze utili e condiviso dalla famiglia. 4. anche l'uso del computer e delle sue varie funzioni va introdotto gradualmente, con un vigile controllo nei tempi e nei modi. Ma è importante integrare queste norme, principalmente negative, con norme positive: 5. bisogna rivalutare moltissimo gli strumenti naturali tradizionali, di gioco e di lavoro, che permettono un sano sviluppo delle facoltà muscolari, cognitive e creative. 6. una volta che il bambino abbia acquisito un rapporto corretto con la realtà e si sia affezionato agli strumenti naturali, provando il gusto di esercitare la propria attività fisica, la propria intelligenza operativa, possibilmente la propria creatività estetica, allora i nuovi strumenti posso costituire un'ottima integrazione all'attività naturale, per perfezionarla, snellirla e comunicarla rapidamente ad altri. 7. la riscoperta delle cose belle che i nostri antenati hanno realizzato con la proprie mani e con gli strumenti naturali, o ad ogni modo più elementari, che avevano a disposizione deve ristabilire una continuità con il loro lavoro che l'infatuazione dell'elettronica ha artificialmente interrotto.
Gli strumenti presenti nei locali dell'abitazione, e soprattutto nelle camere dei ragazzi, non devono dunque trasformare gli ambienti in "finestre aperte sul mondo" - in realtà quello non è affatto il mondo, ma una mostruosa falsificazione -: devono essere invece luoghi dove si vive la propria vita, fatta di relazioni umane vere - e non di fiction, di cui vi è un assurdo abuso, diseducativo per tutte le età -, di attività ludica, di lavoro utile e creativo, di studio, di silenzio meditativo, di preghiera, di riposo dell'anima e del corpo.
La casa di Dio sia amministrata da saggi e saggiamente... perché nella casa di Dio nessuno si turbi e si rattristi.
La casa di Dio sia amministrata da saggi e saggiamente... perché nella casa di Dio nessuno si turbi e si rattristi.
Passando a trattare delle disposizioni più interiori - ma la distinzione non è così netta -, cominceremo dai punti che abbiamo elencato per ultimi e che, in qualche modo, rientrano in ambedue gli ambiti, esteriore e interiore. Il discorso sarà dunque in stretta continuità con quanto svolto nei punti precedenti.
L'oratorio sia ciò che dice il suo nome; e in esso non si faccia né si riponga nulla di estraneo.
Per quanto riguarda questo punto, vi sono situazioni varie. La migliore - ma assolutamente rarissima - è quella di case, per lo più antiche, in cui è presente una cappella di famiglia. Vi sono poi abitazioni abbastanza grandi da permettere di dedicare un ambiente esclusivamente ad un uso di culto e di preghiera - anche questo è un caso piuttosto raro. Nella maggior parte dei casi bisogna accontentarsi di trasformare, all'occorrenza, in ambiente di preghiera comune un locale di altro uso - un soggiorno o salotto -, nel quale tuttavia è bene che siano sempre presenti in un lato o in un angolo immagini sacre e altri segni di devozione (inginocchiatoio, candelieri etc.). Osserviamo che la presenza, nella casa, di un luogo destinato al culto costituisce un forte richiamo, se non una condizione indispensabile, perché la famiglia acquisti il costume della preghiera comune. Quando insegnavo religione nelle scuole elementari sottolineavo il fatto che per la preghiera occorrono due cose indispensabili: un posto per pregare e un tempo per pregare. Senza queste premesse la preghiera non può avere uno spazio reale nella nostra vita e diventerà per lo più, nel migliore dei casi, un pio desiderio. Naturalmente, secondo le parole del Vangelo, la stanza di ciascuno sarà un luogo privilegiato per la preghiera privata - e quanto abbiamo detto prima sui requisiti indispensabili perché la camera personale non diventi un "finestra aperta sul mondo" priva di silenzio e di intimità è essenziale anche in considerazione dell'invito evangelico alla preghiera nella propria stanza. Ma è anche necessario un ambiente adatto e invitante per la preghiera comune. Anche qui si richiede la cura di tutti per la pulizia e per l'estetica - elemento, come già accennato, niente affatto secondario, meno che mai nel campo propriamente religioso.
I libri poi da leggere nell'ufficio notturno siano quelli di divina autorità tanto del Vecchio quanto del Nuovo Testamento, come anche i commenti che vi hanno fatto i Padri cattolici d'incontestato nome e di retta fede... Quale pagina infatti o quale parola d'autorità divina del Vecchio e del Nuovo Testamento non è rettissima norma per la vita umana? O quale libro dei santi Padri cattolici non ci esorta con insistenza a correre per via diritta verso il nostro Creatore? Così pure le "Collazioni", le "Istituzioni" e le "Vite dei Padri", e la Regola del nostro santo Padre Basilio, che altro sono se non strumenti di virtù per i monaci buoni ed obbedienti?.. In questi giorni di quaresima ciascuno riceva un libro dalla biblioteca, e lo legga per ordine da capo a fondo. Tali libri devono essere consegnati al principio di quaresima.
Dati i tempi, non si può dire che la biblioteca di S. Benedetto fosse piccola! E evidentemente era anche ordinata. Naturalmente, però, una famiglia di oggi non può attenersi alla lettera alle prescrizioni di S. Benedetto per i suoi monaci. Ma non è poco quello che si può imparare dalla Regola. Per prima cosa l'esistenza stessa di una biblioteca. Non tutte le case moderne ne hanno una, almeno che sia degna di questo nome. La biblioteca infatti implica cura e conservazione dei volumi. Quante volte invece succede che i libri vengano dispersi, sciupati, prestati e non più richiesti indietro? Questo è un grande danno. Infatti un volume pochi anni dopo la sua pubblicazione non si trova più e, come ci insegna l'esperienza, specialmente dei nostri giorni, più recente non equivale affatto a migliore. Spesso anzi i libri di maggior valore vengono ingiustamente dimenticati e sono poi riscoperti, magari dopo secoli - non avvenne così ad esempio nel Rinascimento? Oltre a ciò pensiamo che moltissime tecniche di scrittura, di stampa e di illustrazione, che davano ai volumi un aspetto estetico mirabile, con il tempo sono cadute in disuso e sono state sostituite da sistemi più economici, ma anche esteticamente più scadenti - senza contare la decadenza progressiva della manualità e quindi di tutta l'arte iconografica. In questa situazione non si potrebbe raccomandare abbastanza la conservazione dei libri di altre epoche, a volte anche vecchi di pochi decenni. Naturalmente la stessa cura è necessaria per i migliori libri di oggi, che domani non si troveranno più. La tradizione benedettina su questo punto può fare veramente scuola. Ma oltre alla conservazione è importantissima la scelta delle pubblicazioni. Purtroppo succede spesso che volumi, riviste, rotocalchi, giornali e giornaletti di ogni genere vadano in giro per la casa senza alcun controllo responsabile. La tradizione morale dei paesi civili, non solo cristiani, ha sempre giustamente denunciato il danno incalcolabile causato dalla cattiva stampa. Era riservato ai nostri giorni dimenticare, tra le altre cose, anche questo insegnamento della saggezza dell'umanità. So per esperienza quanti giovani sono stati segnati negativamente per tutta la vita per aver trovato in giro nella loro casa un libro o un giornale con testi o illustrazioni immorali, o per aver letto, senza preparazione adeguata, scritti faziosi di propaganda sovversiva. Anche quando non si scende a bassi livelli morali o politici, una casa in cui siano presenti soltanto rotocalchi, giornali sportivi o recentissimi volumi scintillanti di letteratura alla moda e in cui manchino i classici della poesia e del pensiero, non può non essere altamente diseducativa per i piccoli e i giovani che vi abitano e spiritualmente deprimente per gli adulti. Al contrario, il bambino che cresce circondato da una biblioteca bene ordinata di libri di valore, arricchiti inoltre di belle illustrazioni, già solo per questo è avvantaggiato per la vita e per la scuola.
L'ozio è nemico dell'anima; e quindi i fratelli devono in alcune determinate ore occuparsi nel lavoro manuale, e in altre ore, anch'esse ben fissate, nello studio delle cose divine.
Il lavoro a cui si fa qui riferimento è quel lavoro artigianale e artistico di cui si è parlato al punto 1. 3. In molti i monasteri benedettini, specialmente femminili, esiste un ambiente destinato a questo tipo di attività, che spesso si fa in comune. A questa tradizione mi piace accostare un'usanza familiare presente specialmente in Danimarca. In questa nazione ogni famiglia benestante ha il costume di riunirsi in certe ore del giorno, specialmente la domenica, per dedicarsi ad un'attività creativa, che può essere il disegno, o il ricamo, o la musica, o altro. In questo modo si ha un momento di distensione e di unione familiare che serve anche a coltivare il gusto per le cose belle e le capacità manuali e mentali di ciascuno. Sarebbe un'ottima cosa che questo costume si diffondesse ovunque, sottraendo così tempo ed energie all'impero assoluto della televisione e dei giochi e strumenti elettronici. Naturalmente per far ciò è necessario avere un ambiente adatto, che può essere lo stesso salotto-soggiorno usato, a tempo opportuno, anche per altri scopi. Quanto alle attività che si potrebbero suggerire nei momenti di lavoro comune, già qualche cosa è stata detta. Di un'occupazione particolare parleremo nel prossimo punto.
Allora sono veri monaci quando vivono col lavoro delle loro mani, come i nostri padri e gli apostoli
Nella tradizione benedettina troviamo ovunque diffuso l'amore per la propria casa e la cura di abbellirla con decorazioni che da una parte esprimano la fede dei monaci e dall'altra servano di richiamo per elevare gli animi, ad ogni momento della giornata, al pensiero di Dio. La bellezza infatti ci parla sempre di Dio, soprattutto quando celebra l'umanità di Cristo, della Vergine e dei santi. Ma un'esortazione di S. Paolo, giustamente celebre, allarga immensamente il nostro orizzonte: "Infine, o fratelli, tutto ciò che vi è di vero, di nobile, di giusto, di puro, di amabile, di onorevole, tutto ciò che è virtuoso e degno di lode, questo formi l'oggetto dei vostri pensieri" (Fil 4, 8). Gli esegeti interpretano queste parole come rivolte non soltanto ai contenuti propri della fede, ma a tutte le cose belle e buone, in quanto sempre provenienti da Dio. Dunque tutto ciò che può abbellire la casa di una famiglia, e non soltanto le icone religiose, dovrebbe essere presente in ogni ambiente dell'abitazione per rallegrare gli animi ed elevare il pensiero dei conviventi. Se a questo fine è necessario coltivare il gusto e fare una scelta adeguata negli acquisti delle decorazioni, altamente auspicabile sarebbe che gli stessi membri della famiglia si dedicassero a produrre con la proprie mani i necessari ornamenti. Coma già detto in precedenza, ciò sarebbe molto educativo per le capacità fisiche e mentali dei piccoli e dei grandi e costituirebbe una genuina fonte di gioia e di reciproca integrazione.
Il primo gradino dell'umiltà è quello in cui l'uomo, con la visione continua della presenza di Dio dinanzi agli occhi, ispirato dal suo timore, fugge del tutto la smemoratezza.
In un monastero vi sarà una prevalenza di ornamenti religiosi, in una casa di famiglia invece prevarranno decorazioni artistiche e immagini ispirate alla vita del mondo o ai ricordi della famiglia stessa. Ma anche nell'abitazione familiare non devono mancare le icone e gli oggetti religiosi, certamente nel luogo di culto, ma non solo lì. La tradizione cattolica, purtroppo oggi spesso disattesa, poneva sopra il letto degli sposi un'immagine della Madonna o della Sacra Famiglia. Il significato redentivo e sublimante di questo segno non può sfuggire alla riflessione. Ma un significato analogo potrebbero avere altre immagini o oggetti sacri posti nei diversi luoghi della casa. Così una volta era uso mettere un'immagine dell'angelo custode nella stanza dei bambini. Bisogna qui osservare che l'iconografia sacra - e profana - negli ultimi decenni è enormemente decaduta, sia per il generale declino della manualità, sia per una diffusa perversione del gusto. Per questo è necessario fare un'attenta scelta negli acquisti di oggetti sacri - come anche degli ornamenti artistici profani -, e soprattutto acquisire, attraverso lo studio dei modelli passati, il gusto e l'abilità manuale necessari per esprimere in forme estetiche appropriate le proprie emozioni religiose e umane. Tutto ciò non è secondario: i piccoli - e i grandi - imparano a conoscere e a sentire l'intimo senso della religione - e della vita - e dei suoi misteri più attraverso la Biblia pauperum dell'iconografia che attraverso il catechismo. Anche per questo, data la decadenza di cui si è detto, il senso religioso è così scaduto persino tra l'infanzia. Aggiungiamo che la fotografia non può sostituire la creazione artigianale, così come una fiction non può sostituire la lettura di un libro.
In queste ore dunque rendiamo lodi al nostro Creatore... e la notte leviamoci a celebrarlo.
In queste ore dunque rendiamo lodi al nostro Creatore... e la notte leviamoci a celebrarlo.
L'ufficio divino scandisce tutta la giornata monastica. Così la preghiera diviene pratica di vita, incarnata nell'ufficio recitato o cantato alle diverse ore del giorno. I salmi, gli inni, le invocazioni, che nel corso della storia cristiana hanno arricchito la liturgia della Chiesa, spesso impreziositi da un alto valore poetico, non sono fatti per restare chiusi nei libri, né per essere eseguiti a teatro o a concerto, ma per intrecciarsi alla vita di tutti i giorni: "Riempitevi dello Spirito, recitando entro di voi salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmodiando in cuor vostro al Signore, rendendo grazie sempre e per tutte le cose nel nome del Signor nostro Gesù Cristo a Dio Padre" (Ef 5, 18b-20). La famiglia non può certamente dedicare alla preghiera comune tutto il tempo che vi dedicano i monaci. Può tuttavia cercare di imitarli in determinati momenti della giornata: al mattino, prima dei pasti, e soprattutto alla sera prima del riposo. Questa preghiera comune non deve essere fatta in modo prosaico e trasandato, ma deve essere abbellita da una scelta opportuna dei testi e - come vedremo meglio in seguito - dal canto
Se in altri momenti uno desidera pregare in segreto per proprio conto, semplicemente entri e preghi, e non a voce alta, ma con le lacrime ed il fervore interno.
Tutti i membri della famiglia, dai più piccoli ai più anziani, dovrebbero amare molto la solitudine con Dio. Ciò può essere favorito sia dalla presenza di immagini sacre nel luogo di culto e nella stanze dei singoli, sia da un clima di silenzio, sia da abitudini di riflessione, di studio, di meditazione. E' evidente il danno provocato, in tal senso, da una casa piena, anziché di icone sacre, di poster e immagini fotografiche mondane, sguaiate e volgari e disturbata in continuazione da pseudo-musiche da discoteca, da televisioni sempre accese e da rumori di strumenti elettronici. Per favorire la preghiera individuale è assolutamente indispensabile che la stanza dei singoli sia protetta da tutta questa invasione mondana e possa essere un luogo di silenzio, di studio, di meditazione e una dimora allietata dall'arte e arricchita da volumi di poesia, di pensiero, di orazione: la patria dell'anima, dove ognuno possa ritrovare se stesso dopo le dissipazioni e gli affanni della giornata.
E' dunque in questo zelo che i monaci devono esercitarsi con ardentissimo amore: si prevengano cioè l'un l'altro nel rendersi onore; sopportino con somma pazienza a vicenda le loro infermità fisiche e morali; si prestino a gara obbedienza reciproca; nessuno cerchi l'utilità propria, ma piuttosto l'altrui.
E' dunque in questo zelo che i monaci devono esercitarsi con ardentissimo amore: si prevengano cioè l'un l'altro nel rendersi onore; sopportino con somma pazienza a vicenda le loro infermità fisiche e morali; si prestino a gara obbedienza reciproca; nessuno cerchi l'utilità propria, ma piuttosto l'altrui.
La mutua affezione nell'ambito familiare sembra che non debba neanche essere raccomandata, essendo dettata dalla stessa natura. Ma non è così, perché non ci può essere vero amore senza la crocifissione del proprio egoismo. E' dunque necessario che fin da piccoli i bambini vengano educati, con l'esortazione e l'esempio dei genitori e degli educatori, a vincere la pigrizia, la mollezza, la poltroneria, la ghiottoneria e ad acquisire le virtù della temperanza, della fortezza, della giustizia. Come è stato già accennato, saranno le abitudini ad alzarsi presto la mattina, alla condivisione del lavoro domestico, alla sobrietà nel mangiare e nel bere a creare i presupposti indispensabili per una carità vissuta tra i membri della famiglia. A ciò va aggiunta naturalmente la pratica della preghiera comune
Ristorare i poveri. Vestire l'ignudo. Visitare l'infermo. Seppellire il morto. Soccorrere il tribolato. Consolare l'afflitto… I poveri e i pellegrini siano accolti con particolari cure ed attenzioni, perché specialmente in loro si riceve Cristo, mentre ai ricchi si porta rispetto per la stessa soggezione che incutono.
A volte si è parlato di "egoismo monastico", come se la clausura chiudesse i monaci nell'ambito ristretto degli interessi della propria comunità. In numerosi casi ciò è avvenuto, ma non era questo lo scopo di S. Benedetto, né è stata questa la pratica dei monasteri quando hanno seriamente applicato l'insegnamento della Regola. Al contrario, la clausura lega il monaco al servizio della vita fraterna e lo sottomette all'obbedienza: ciò lo purifica dall'egoismo e dall'amor proprio e lo prepara così alla pratica di tutte le opere buone. L'esercizio di esse però deve essere realizzato senza che il monaco si sottragga agli obblighi della carità e della giustizia verso la comunità di cui fa parte e dalla quale riceve continuo sostegno per la vita del corpo e dell'anima. D'altra parte il bene che si può realizzare all'esterno nel quadro della vita comunitaria, sotto il coordinamento dell'abate, vale più di quello che si potrebbe fare singolarmente. Ciò non toglie che un monaco possa avere le sue iniziative, ma deve sottometterle al giudizio del superiore, il quale ha il dovere di valorizzare i talenti dei suoi monaci e di coordinarli con le necessità della vita fraterna (3). Ma come c'è a volte un egoismo monastico, così c'è purtroppo anche un egoismo familiare, per il quale spesso le persone sposate si chiudono nell'interesse esclusivo della propria famiglia e, con le parole e con l'esempio, insegnano ai figli a fare altrettanto. Per combattere questa tentazione, si raccomanda di valorizzare le virtù che si sono acquisite tramite il servizio reciproco - di cui più volte si è parlato e di cui non si potrebbe esagerare l'importanza - e tramite l'esercizio della sobrietà e della rinuncia, per le esigenze della carità verso gli esterni e per tutti i problemi della società che ci circonda. Spesso è proprio la mancanza diffusa delle virtù che la saggezza umana e cristiana benedettina invita a praticare l'origine di tanti mali individuali e sociali. Saranno perciò proprio queste virtù, coltivate in una comunità monastica o familiare che si ispira alla regola di S. Benedetto, a portare soccorso alle sofferenze del mondo. Si raccomanda perciò ai genitori, proprio per non lasciare a metà la formazione morale dei piccoli, di mettere presto - anche se con la dovuta discrezione - questi ultimi a contatto con le piaghe della società e a insegnare loro ad esercitare lo spirito di servizio che hanno acquisito in famiglia a beneficio dei sofferenti e dei diseredati.
Nota 3
Nel corso dei secoli i monaci hanno svolto i più svariati ruoli, dall'attività missionaria all'assistenza caritativa, sempre però nella fedeltà alla vita comune, scandita dalla preghiera corale e dal servizio reciproco. Bisogna sottolineare che il maggiore apporto dei Benedettini alla Chiesa e alla civiltà è stata la diffusione nel popolo cristiano, con l'esempio della loro regolare osservanza e con le loro creazioni nel campo liturgico, artistico e culturale, della laboriosità e della pietà incarnate nella vita quotidiana, dello spirito di sacrificio e di servizio, dell'elevazione dell'intelligenza e del sentimento umano e religioso. Quanto queste virtuose attitudini abbiano contribuito alla prosperità, anche materiale, dei popoli non è difficile comprenderlo. In particolare il ruolo dei monasteri femminili non può essere equamente valutato al di fuori di questa prospettiva.
Abbiamo detto di chiamare a consiglio tutti, perché spesso ad uno più giovane il Signore ispira un parere migliore... La decisione dipenda dal volere dell'abate... ma come ai discepoli è doveroso obbedire al maestro, così è conveniente che anche lui tutto disponga con provvida ed equanime assennatezza... Sempre i monaci devono osservare con cura il silenzio, ma soprattutto nelle ore notturne.
Abbiamo detto di chiamare a consiglio tutti, perché spesso ad uno più giovane il Signore ispira un parere migliore... La decisione dipenda dal volere dell'abate... ma come ai discepoli è doveroso obbedire al maestro, così è conveniente che anche lui tutto disponga con provvida ed equanime assennatezza... Sempre i monaci devono osservare con cura il silenzio, ma soprattutto nelle ore notturne.
Si lamenta oggi nelle famiglie la mancanza di tempo per il dialogo tra coniugi e tra genitori e figli. Spesso questa mancanza dipende dai troppi inutili impegni fuori casa, dal disamore per l'ambiente e per il lavoro domestico, dalle troppe ore assorbite dalla televisione o dagli strumenti informatici. Abbiamo già osservato che il momento dei pasti è sacro e deve essere consacrato alla comunione fraterna, con il rispetto degli orari e con l'esclusione della televisione durante la refezione. Allo stesso modo si è accennato alla sera come momento privilegiato di riposo e di ritiro dalle preoccupazioni esteriori e dai divertimenti rumorosi e mondani e di comunione di animi nel dialogo, nella condivisione dei pensieri e dei sentimenti, nella preghiera comune. A ciò si oppone il malcostume, purtroppo quasi universalmente diffuso, del cattivo uso della televisione, come di ineluttabile fatalità che debba venire necessariamente ad assorbire le ore migliori della serata. Quanto ciò sia irragionevole ognuno può comprenderlo, ma nessuno ha poi la forza di opporvisi. La famiglia che voglia invece regolarsi secondo principi più sani, dovrebbe considerare l'uso serale della televisione, o delle videocassette o DVD, come l'eccezione, da scegliere quando veramente il guadagno compensa la perdita - cioè raramente -, e non come la regola. Come regola la famiglia deve essere libera di dedicarsi al dialogo e a quelle attività ludiche o artistiche che lo favoriscono. La gioia di un uso creativo dell'intelligenza nel dialogo cordiale o in un'attività manuale giocosa o nella musica, strumentale o vocale, o nella fruizione condivisa della poesia è ben diversa dalla passività grigia e taciturna imposta dalla televisione. Osserviamo ancora che le abitudini al servizio reciproco, all'umile condiscendenza, alla sobrietà e all'abnegazione che abbiamo più volte sottolineato, costituiscono una premessa indispensabile e preziosa per un fruttuoso e rispettoso dialogo tra familiari. Il contrario bisogna dire delle abitudini alla pigrizia, all'egoismo, all'accaparramento, alla presuntuosa caparbietà. Notiamo infine l'importanza del silenzio nella regola benedettina, e soprattutto del silenzio dopo l'ultima preghiera di compieta. Dopo la distensione, la condivisione e la preghiera serale, tutto deve concludersi nel silenzio del raccoglimento notturno, in cui si spengono le luci del mondo e si accendono mistiche infinite fiammelle nella volta oscurata del cielo: anche il cielo dell'anima ha bisogno delle sue stelle, che vengano a consacrare i pensieri, gli affetti, le orazioni con i quali il cuore si addormenta perché portino il loro misterioso frutto nella vita inconscia del sonno
Ascoltare volentieri le sante letture.
Ascoltare volentieri le sante letture.
Si potrebbe qui ripete quanto è stato detto a proposito della Biblioteca. Aggiungiamo soltanto che la lettura non può essere validamente sostituita dalle varie forme di comunicazione visiva offerte dai moderni strumenti elettronici. La riflessione è una cosa e l'immaginazione un'altra. Il prevalere della seconda sulla prima segna molto negativamente l'uomo di oggi e può essere deleteria per un'equilibrata crescita del bambino. E' anche importante la realtà fisica del libro e la possibilità di conservarlo e di ritornare a sfogliarlo più volte, anche a distanza di anni. Dà sicurezza sapere che quel vecchio amico libro è sempre lì pronto a ripeterci le sue sagge parole, che forse ancora non abbiamo sufficientemente capito o meditato e che con il passar degli anni e l'arricchirsi delle esperienze rivelano sempre nuovi significati. Se la camera dei ragazzi non è invasa da rumorosi strumenti elettronici con la loro caotica e continua valanga di immagini, il piccolo potrà imparare presto il gusto delle buone letture, che arricchiscono la mente e il cuore
Questa Regola poi l'abbiamo abbozzata, affinché con l'osservarla nei monasteri diamo prova in qualche modo di avere almeno dignità di costumi e un certo avviamento di vita monastica. Ma per chi vuole procedere celermente verso la perfezione di tale vita, vi sono i precetti dei santi Padri, che fedelmente praticati sono ben atti a condurre l'uomo al culmine della virtù. Quale pagina infatti o quale parola d'autorità divina del Vecchio e del Nuovo Testamento non è rettissima norma per la vita umana? O quale libro dei santi Padri cattolici non ci esorta con insistenza a correre per la via diritta verso il nostro Creatore? Chiunque pertanto tu sia che ti affretti alla patria celeste, poni in pratica con l'aiuto di Cristo questa minima Regola per principianti appena delineata; e allora a quelle più alte vette di dottrina e di virtù, che abbiamo sopra menzionate, potrai certo facilmente giungere con la protezione di Dio
Questa Regola poi l'abbiamo abbozzata, affinché con l'osservarla nei monasteri diamo prova in qualche modo di avere almeno dignità di costumi e un certo avviamento di vita monastica. Ma per chi vuole procedere celermente verso la perfezione di tale vita, vi sono i precetti dei santi Padri, che fedelmente praticati sono ben atti a condurre l'uomo al culmine della virtù. Quale pagina infatti o quale parola d'autorità divina del Vecchio e del Nuovo Testamento non è rettissima norma per la vita umana? O quale libro dei santi Padri cattolici non ci esorta con insistenza a correre per la via diritta verso il nostro Creatore?.. Chiunque pertanto tu sia che ti affretti alla patria celeste, poni in pratica con l'aiuto di Cristo questa minima Regola per principianti appena delineata; e allora a quelle più alte vette di dottrina e di virtù, che abbiamo sopra menzionate, potrai certo facilmente giungere con la protezione di Dio
S. Benedetto, fuggito da Roma "scienter nescius et sapienter indoctus" (consapevolmente ignaro e sapientemente sprovvisto di scienza) perché scandalizzato della vita immorale degli studenti dell'Urbe, cercò nella vita monastica una scuola diversa da quella delle istituzioni accademiche: la "scuola del servizio divino." Crescere nell'umiltà, nella carità, nell'abnegazione è per lui più importante che crescere nell'istruzione scolastica. Ma la pratica delle virtù umane e cristiane è per lui anche il fondamento della vera sapienza. Egli infatti non disprezza lo studio, quando è ordinato alla conoscenza delle vie di Dio. Nel cap. 48 della Regola scrive: "L'ozio è nemico dell'anima; e quindi i fratelli devono in alcune determinate ore occuparsi nel lavoro manuale, e in altre ore, anch'esse ben fissate, nello studio delle cose divine." E dell'abate dice che deve possedere la "scienza delle cose spirituali" (c. 64) e che "il comando e l'insegnamento suo penetrino dolcemente nell'animo dei discepoli come fermento di divina giustizia" (c. 2). La vera sapienza, dunque, deve sgorgare dall'impegno per una vita virtuosa e a sua volta illuminare con la sua luce la via della virtù. Ma abbiamo visto che per S. Benedetto la virtù si esercita principalmente nella pratica dei più umili servizi richiesti dalla vita comune e dalla carità fraterna. Questa vita comune, del resto, non è ordinata ad un fine terreno, bensì ad un fine spirituale. Infatti buona parte dei servizi richiesti dalla vita comunitaria riguardano il retto ordinamento e la pratica regolare e fervente della preghiera liturgica, la buona organizzazione della lettura, pubblica e privata, e dello studio della Parola di Dio e degli scritti patristici e monastici, la cura di una bene impostata vita di preghiera personale. Anche le osservanze più apparentemente terrene sono trasfigurate dalla Regola attraverso lo spirito di imitazione di Cristo obbediente e sofferente, che non è venuto per essere servito ma per servire, e attraverso la gioiosa oblazione di sé stessi nell'amore di Dio e nella carità fraterna. Così ciò che si è appreso nella recita dell'ufficio, nella meditazione della Sacra Scrittura e nella preghiera, viene poi messo in pratica nella vita di tutti i giorni. La tradizione monastica successiva doveva sviluppare enormemente le linee maestre poste da S. Benedetto a fondamento di una cultura non astratta e scolastica, ma profondamente amalgamata con le esigenze pratiche di una virtuosa vita cristiana personale e comunitaria. E' evidente che non c'è posto in un monastero benedettino bene ordinato per l'erudito o lo scienziato vizioso o gonfio di orgoglio e sprezzante dei lavori umili richiesti dalla vita comune e dalla carità fraterna. Nella prospettiva di S. Benedetto - che naturalmente è quella del Vangelo - l'umile monaco illetterato che si sacrifica notte e giorno per amore di Dio e dei fratelli è più sapiente del plurilaureato indisponibile e orgoglioso. Ma è anche vero che la stessa vita religiosa comunitaria richiede lo sviluppo di una molteplice attività culturale. Per essere monaci cristiani bisogna leggere, meditare, declamare in continuazione la Parola di Dio e gli scritti dei Padri e bisogna recitare i salmi e i cantici ispirati e gli inni e le preghiere della Chiesa per molte ore durante il giorno. Di qui la necessità di imparare, insegnare, pensare, scrivere, ricopiare, miniare, comporre, e poi di cantare e di sviluppare e arricchire il patrimonio melodico e di inventare una più adeguata scrittura musicale, e di costruire oratori, chiese, cappelle, biblioteche, ambienti per i vari servizi della vita monastica e di abbellirli con l'arte architettonica, pittorica, scultorea, di intagliare cori lignei, di confezionare paramenti sacri, di creare riti liturgici e paraliturgici - da qui la nascita del teatro medievale - etc. Come scrivevo altrove, "cultura, pensiero, arte, melodia vengono ad animare di un soffio di poesia e ad ispirare di un bagliore di cielo tutte le attività del monaco. Così dal semplice lavoro domestico di ogni giorno e dallo spirito divino che lo vivifica nascono le grandi idee, i grandi progetti per la salvezza del mondo, da operare senza mai sottrarsi al sacrificio quotidiano della vita fraterna in comunità: niente a che vedere con la cultura astratta, lontana dalla vita dell'anima" propria di tanta erudizione accademica. Da questa scuola doveva nascere la più grande sapienza cristiana. Mi piace qui citare alcune belle considerazioni di Jacques Maritain su S. Tommaso d'Aquino, che uscì dal monastero di Montecassino per entrare nel nuovo ordine dei Domenicani e finì la sua non lunga vita ospite del monastero di Fossanova: "Egli deve abbandonare la casa del Beato Padre Benedetto, dal quale, piccolo oblato dalla veste nera, aveva imparato le dodici regole dell'umiltà, e al quale, Dottore splendente che ha compiuto la sua opera, domanderà ospitalità per morire… In cielo, san Domenico chiese Tommaso a san Benedetto perché il Verbo di Dio aveva bisogno di Tommaso per affidargli la missione dell'intelligenza cristiana." Il più moderno ordine Domenicano poteva meglio adattarsi alla vita di studio delle grandi università medievali che non l'antico ordine Benedettino, ma l'episodio è emblematico: anche la più alta e sviluppata vita intellettuale per essere sana e non cadere nell'astrattezza deve trarre la sua linfa dall'umile servizio - "umiltà" viene da "humus"= terra -, dalla preghiera vissuta, dalla pratica della carità, e non deve accontentarsi di aleggiare per le aule delle università, ma deve ritornare presso i focolari familiari e monastici per illuminare con la luce della sapienza la vita di lavoro, di preghiera, di angoscia e di speranza dei semplici fedeli e di tutti gli uomini. Mi sembra che il discorso fin qui svolto sia molto utile per una corretta valutazione della funzione e del valore dello studio nella vita di una famiglia. Per prima cosa osserviamo che vi è una cultura dell'animo che è più importante della vita scolastica. Anzi, essa dovrebbe essere il fondamento e lo scopo finale di ogni attività intellettuale. Ciò significa che quanto viene compreso sotto l'apparentemente così povera espressione "lavoro domestico" costituisce in realtà il ricchissimo fondamento di ogni vera cultura. Non è dunque affatto sconveniente e disdicevole per una donna laureata dedicarsi a tempo pieno alla cura della propria casa e della propria famiglia. Allo stesso modo, non vi è nulla di discriminatorio nel riconoscere che non tutti sono portati ad una vita intellettuale scolastica, dal momento che le energie dell'intelletto, del cuore e della volontà si esplicano altrettanto bene, e spesso molto meglio, attraverso il lavoro manuale, l'umile servizio fraterno, l'oblazione di sé stessi nella carità. La storia ci insegna che l'arte più sublime spesso è nata da questa umile attività familiare, anziché dalle università e dalle accademie. Chi poi è dotato per l'attività intellettuale scolastica, dalle precedenti considerazioni dovrebbe imparare a trarre ispirazione per i suoi studi dalla giornaliera pratica della virtù e ad essa riferire tutta la sua vita intellettuale. Scriveva il Förster più di cent'anni fa: "Affinché l'uomo non perda mai di vista il saldo centro della vita, cioè il lavoro attorno al proprio carattere, bisogna che il molteplice sapere venga spogliato della sua influenza distrattrice e confonditrice, il che si ottiene mettendolo in costante rapporto con quel centro! Tutto il resto non è educare il popolo, ma pervertirlo!" Queste considerazioni ci indicano che cosa significhi una cultura superiore e quale dovrebbe essere la giusta scala di valori delle scienze: non certo l'informatica, l'economia e commercio o le scienze politiche possono ambire al rango di guida della cultura umana! Ricordiamo che la parte più voluminosa e complessa della Summa theologiae è la seconda, cioè la parte morale: il Dottore Angelico ci mostra così che la scienza di gran lunga più importante è lo studio dell'animo umano e che tutte le altre ad esso devono essere riferite.
I fratelli non tutti leggano o cantino in ordine di anzianità, ma solo quelli che siano atti ad edificare gli uditori.
I fratelli non tutti leggano o cantino in ordine di anzianità, ma solo quelli che siano atti ad edificare gli uditori.
S. Benedetto, seguendo l'uso del monachesimo più antico, dà un ruolo centrale, nella vita del monastero, alla recita corale dell'ufficio divino. Come è naturale, conformemente anche all'esortazione di S. Paolo che abbiamo già citata (cf n. 10. 1.), i salmi e i cantici venivano spesso cantati. Del resto il salmo per sua natura è poesia e canto: dunque la vera preghiera deve essere poesia e canto. La successiva tradizione benedettina ha enormemente sviluppato questo aspetto, tanto che il monachesimo medievale si è reso grandemente benemerito della civiltà per lo sviluppo e la conservazione del patrimonio musicale antico. Furono infatti i monaci benedettini a inventare la scrittura musicale, che divenne poi, con poche modifiche, quale noi la conosciamo - ciò che permise di fissare in modo preciso per iscritto le melodie liturgiche della Chiesa. Per questo il canto sacro medievale - che in gran parte riprende e sviluppa quello tardo romano - è il più antico vasto repertorio musicale che ci è dato conoscere con sufficiente precisione. E' noto che gli stessi nomi delle note vengono dalle sillabe iniziali dei primi sei versetti dell'inno liturgico della festa di S. Giovanni Battista - segno dell'origine ecclesiastica e monastica dell'arte musicale occidentale. Più tardi, nei secoli XIX e XX furono i monaci del monastero benedettino di Solesmes, in Francia, a restituire, attraverso lo studio scientifico dei codici, il canto gregoriano alla sua primitiva purezza, di là dalle alterazioni da esso subite attraverso i secoli. Anche in questo caso osserviamo che la musica viene coltivata nei monasteri non come studio accademico o concertistico, ma come qualche cosa che fa parte della vita di tutti i giorni: si deve pregare insieme, e perciò si deve anche cantare, e si deve cantare bene, e creare la musica adatta per una liturgia sempre più elaborata e solenne, e la si deve tramandare, e perciò conservare, e perciò scrivere in modo sempre più adeguato. Anche in anni recenti si è visto che, nel marasma delle sperimentazioni selvagge nel campo della musica liturgica, generalmente i monasteri benedettini hanno saputo mantenere una certa dignità, con la conservazione del canto gregoriano e con una prudente apertura alle migliori espressioni della musica più moderna. Già nel tardo Settecento il benedettino tedesco Martin Gerbert, abate del monastero di S. Biagio nella Foresta Nera, lamentava la decadenza della musica sacra, nella quale a poco a poco negli ultimi secoli si era introdotta la moderna musica figurata profana, tanto che la musica sacra non si distingueva più da essa. Ai suoi occhi negli ultimi tempi il cambiamento era stato così rapido e grave da mettere in pericolo la stessa purezza del culto, "se Platone stimava che, degenerando la musica, neanche lo stato si può salvare." Questa ultima osservazione ci riporta all'importante ruolo della musica nella vita della famiglia. Si tratta di un aspetto a cui si bada pochissimo, senza riflettere quale determinante effetto ha la suggestione musicale sulla profonda vita inconscia dell'uomo. La musica di cui si nutrono abbondantemente i nostri giovani negli ultimi decenni è degenerata sempre di più, anche con il concorso di mezzi sonori e di strumenti di comunicazione sempre più potenti e sofisticati. La tradizione benedettina potrebbe offrire molti spunti per correggere questa pericolosa situazione. Partiamo dall'osservazione che la musica, per sua destinazione naturale, non deve essere una realtà da museo o da sala da concerto, ma dovrebbe accompagnare la nostra vita di tutti i giorni, così come avviene, per quanto riguarda la musica liturgica, nei monasteri. La famiglia potrebbe in ciò imitare i monaci, animando con bei canti, scelti e curati, i momenti di preghiera comune. Ma potrebbe fare molto di più: tutto il vasto ambito dei sentimenti umani dovrebbe essere coltivato e educato attraverso la musica e il canto. Per gli antichi la musica era infatti un potente mezzo educativo. I genitori e gli educatori dovrebbero procurarsi in prima persona una formazione estetica adeguata per acquisire così il gusto infallibile delle melodie e dei canti adatti a suscitare nei figli i migliori sentimenti umani e cristiani. Un repertorio a mio giudizio da riscoprire e da rivalutare, inserendolo nella trama della vita quotidiana familiare, è il ricchissimo patrimonio del canto popolare italiano e straniero, sacro e profano. Grandissima efficacia formativa dei sentimenti umani e cristiani ha anche il vasto repertorio della lirica, specialmente italiana, del '770 e dell'800. Un tempo certi canti erano conosciuti da tutti: oggi per lo più sono stati soppiantati dalle più sguaiate composizioni dei varietà televisivi. Anche nel campo della musica religiosa spesso imperano le più sgarbate e assordanti improvvisazioni dell'ultima ora. Scriveva un saggio autore cento anni fa che si prova tutto il dolore del mondo a sentire di quale musica si nutre e si bea il nostro popolo. Che cosa dovrebbe dire oggi? Anche qui dunque è assolutamente necessario fare macchina indietro. Infatti la tradizione del canto popolare e della lirica classica, con la loro irresistibile celebrazione dei più alti e teneri sentimenti umani, implicitamente cristiani perché frutto di un'educazione religiosa plurisecolare, non è stata abbandonata perché non più adatta ai nuovi tempi, ma solo per motivi ideologici e bassamente commerciali. Quando questo patrimonio viene opportunamente riproposto, anche l'uomo e il giovane di oggi ne rimane conquistato e lo sente rispondente alle sue più vere aspirazioni. Le famiglie, dunque, dovrebbero imparare a intrecciare i momenti di svago e di lavoro, con i bei canti della tradizione popolare e classica, e anche con un'opportuna scelta di canti moderni, tra i quali certamente non mancano le belle composizioni - ma non è facile rintracciarle nel marasma della musica commerciale. "Volendo ricreare una razza bella e forte" scriveva tanti anni fa il P. Doncoeur, "ci siamo ripromessi di insegnarle di nuovo a cantare." Ma, egli aggiungeva, "la musica, il canto senza connessione con la vita sono morti; non saranno gustosi per voi e il vostro sforzo non sarà né fecondo né durevole se non impregnerete veramente con la musica la vostra vita… Il quadro di bellezza, di armonia, di gioia che può far sgorgare il canto non è che la terra del buon Dio, la strada, la foresta, la montagna e ancora il campo, la fattoria e il focolare." Non c'è dubbio che la nostra vita moderna, falsa e artificiale, uccide il canto come, allontanando l'uomo dalla natura, inaridisce le sorgenti segrete e preziose della gioia di vivere.
Con gioia di soprannaturale desiderio aspetti la santa Pasqua.
Con gioia di soprannaturale desiderio aspetti la santa Pasqua.
La Regola di S. Benedetto non prevede momenti di svago o di fruizione dell'arte, ma la vita del monaco, se pure austera, mortificata e sempre disponibile alla condivisione della croce di Cristo, è in fondo una vita di gioia, in cui "con l'avanzare nelle virtù monastiche e nella fede il cuore si dilata, e la via dei divini precetti si corre nell'indicibile soavità dell'amore." (S. Regola, Prologo). Del resto S. Benedetto afferma di non aver voluto stabilire "nulla di penoso, nulla di pesante" (ibid.), nonostante la severità della disciplina che mira a correggere i vizi e a conservare la carità. Nulla di strano, dunque, che la tradizione monastica successiva abbia accolto nell'orario della giornata momenti di ricreazione e di gioco e abbia ampiamente sviluppato l'attività artistica. Ciò deve essere imitato da una famiglia che voglia seguire lo spirito benedettino, anche perché, come si è accennato, la partecipazione comune all'attività ludica o artistica favorisce grandemente la comunione spirituale e il dialogo. I giochi tradizionali, come le attività artistiche e artigianali manuali, hanno il pregio di impegnare le facoltà fisiche e mentali dell'uomo senza lo schermo di energie artificiali. Ciò, come già si è accennato, è molto utile e anzi indispensabile per lo sviluppo dell'intelligenza, della creatività, della manualità e del senso estetico dei piccoli e dei grandi. Inoltre, come lo abbiamo visto espresso poeticamente dal P. Doncoeur, l'uomo ha bisogno di un contatto vivo con la natura e di esercitare direttamente su di essa le proprie facoltà conoscitive, ammirative e creative. Purtroppo l'ipersviluppo della tecnologia e dell'elettronica ci hanno sempre più allontanato da questa esperienza viva della natura e hanno reso la nostra vita falsa, lontana dalle sue fonti genuine e artificialmente sovreccitata da esperienze sempre più irreali e imbastardite dalla propaganda commerciale. Ciò non toglie che i mezzi più moderni, se bene usati, possano offrire nuove straordinarie possibilità all'azione umana. Il principio fondamentale per un loro corretto uso, come già è stato accennato, è il seguente: i mezzi elettronici non devono mai sostituire la realtà della natura né l'uso naturale delle facoltà umane. Il loro posto dunque non deve mai essere il primo, ma sempre il secondo. Ciò significa che l'uomo deve prima fare le sue esperienze nel contatto vivo con la natura e con gli altri uomini e nell'esercizio naturale delle proprie facoltà - intelligenza, sforzo fisico, conoscenza della realtà e ammirazione della bellezza, operosità trasformatrice e creatività artistica, condivisione con gli altri della vita della mente e del cuore - e soltanto dopo aver fatto questo potrà senza rischio, attraverso i moderni mezzi elettronici, ampliare le proprie facoltà, ormai consolidate, e comunicare quanto ha appreso, pensato o realizzato nelle dimensioni nuove dello spazio e del tempo. Questa gerarchia, evidentemente non soltanto di valori ma anche cronologica, implica sia, come è stato accennato, un prudente rinvio di qualche anno prima di accostare l'educando ai mezzi elettronici, sia, anche in seguito, un uso moderato di essi, in modo che la loro azione venga sempre ad integrare e mai a sostituire il contatto con la vita reale. In questo senso sarebbe importante che i giovani e in genere i familiari usino i mezzi di riproduzione visiva il più ampiamente possibile per creare e trasmettere loro stessi filmati della propria vita, del proprio lavoro, delle proprie realizzazioni per poi comunicarli e scambiarli con altri gruppi familiari e culturali anche a grande distanza. Questa ed altre esperienze analoghe avrebbero il grande vantaggio di favorire la creatività attiva anziché la passività nei confronti dei mezzi elettronici e nello stesso tempo insegnerebbero a renderli strumenti di fedele comunicazione della realtà e non della sua falsificazione, come invece tanto facilmente avviene nell'universo della comune informazione, della pubblicità e delle fiction. Queste ultime, naturalmente, se ben scelte e non troppo frequenti, possono avere un validissimo ruolo educativo. Ho detto "non troppo frequenti" perché un film realizzato con vera arte e contenente un forte messaggio umano ha bisogno poi di molto tempo per essere assimilato attraverso il ricordo e la riflessione. Il mio parere invece decisamente negativo sui giochi elettronici è già stato espresso in precedenza.
Se qualche cosa un pochino dura, suggerita da un ragionevole equilibrio, dovrà pure introdursi per la correzione dei vizi o per la conservazione della carità, non ti lasciar subito così cogliere dallo sgomento da abbandonare la via della salute, che non può intraprendersi se non per uno stretto imbocco.
Se qualche cosa un pochino dura, suggerita da un ragionevole equilibrio, dovrà pure introdursi per la correzione dei vizi o per la conservazione della carità, non ti lasciar subito così cogliere dallo sgomento da abbandonare la via della salute, che non può intraprendersi se non per uno stretto imbocco.
Certamente molti lettori del presente scritto obietteranno che l'ideale ivi presentato è assai esigente e difficilmente praticabile senza andare fortemente contro corrente e sconvolgere le abitudini di vita oggi prevalenti. Ma, come ho fatto osservare altrove, molte famiglie si trovano costrette a modificare radicalmente tutto il loro modo di vivere in seguito a tragedie quali un figlio drogato o in prigione o una figlia abbandonata dal marito. Non sarebbe allora meglio modificare volontariamente la vita della famiglia allo scopo di prevenire, per quanto è umanamente possibile, tali disgrazie anziché essere costretti a modificarle dopo per porvi rimedio? A mio umile giudizio, infatti, non c'è dubbio che molte di queste tragedie dipendano dagli squilibri che la situazione attuale, passivamente accettata dalle famiglie, provoca nello sviluppo dell'età evolutiva. I piccoli infatti, nelle attuali circostanze, spesso acquisiscono nella crescita forti carenze neurologiche, psichiche, affettive e morali, trovandosi così, nell'adolescenza e nell'età matura, disadattati ad una sana vita sociale e matrimoniale, con tutte le tragiche conseguenze che da ciò derivano. Opporre dunque all'urgenza di cambiamenti essenziali nell'attuale vita delle famiglie i soliti motivi di lavoro incombente e di mancanza di tempo sembra voler imitare l'atteggiamento dello struzzo, che nasconde la testa per non vedere. Si potrebbe chiedere: quando poi nascono le tragedie, dove vanno a finire gli apparenti vantaggi che si è creduto di acquisire con il lavoro affannoso e la mancanza di tempo? Ma vorremmo concludere, oltre che con un'esortazione a riflettere seriamente su quanto precedentemente esposto, con l'invito alle famiglie che intendono fare proprio l'insegnamento di S. Benedetto, a stringere una stabile amicizia con un monastero benedettino, maschile o femminile. In tal modo tutto ciò che si tenta di realizzare nella propria casa lo si ritrova, più compiuto e in qualche modo trasfigurato, nella comunità monastica e nella sua dimora. Il monastero infatti diverrebbe - come ho scritto altrove - "centro di culto, scuola di canto sacro, modello di vita comunitaria consacrata nel lavoro e nella preghiera, tramite di comunicazione con esperienze di santità, di cultura e di arte delle generazioni passate, laboratorio di creatività artigiana e artistica, edificio nella cui struttura e nella cui arte si incarna in modo più perfetto di quanto possa avvenire nella casa di famiglia l'elevazione, faticosa ma reale, nella luce di Dio di ogni espressione e di ogni momento della vita singola e comune."
A questo progetto aderiscono, oltre il monastero maschile di Farfa anche alcuni monasteri femminili: Senigallia (AN), Fano (PU), Cingoli (MC).
Per il monastero di Farfa si possono contattare i seguenti recapiti e chiedere del P. Priore o del monaco incaricato del progetto.
Tel.: 0765/277065
Fax: 0765/277191
Email: farfenprior@libero.it
Si possono contattare i seguenti recapiti e chiedere del P. Priore o del monaco incaricato del progetto
Tel.: 0765/277065
Fax: 0765/277191
Email: farfenprior@libero.it / massimolapponi@yahoo.it
La fondazione del Monastero delle Benedettine di S. Cristina di Senigallia risale al 1581. A quel tempo la popolazione stessa desiderava la presenza di un monastero di clausura nell'ambito delle mura cittadine, non solo come possibile luogo di collocamento onorevole per le figlie cadette, ma anche per avere nella città un luogo dedicato alla preghiera e alla pratica della virtù, che fosse di conforto e di esempio per tutta la cittadinanza.
La scelta della Regola di S. Benedetto orientò la nuova casa religiosa alla pratica fervente del culto divino nella preghiera corale, oltre all'impegno nei lavori adatti ad una comunità di clausura. Nel corso silenzioso e pacifico dei primi secoli di vita del monastero, in particolare si sviluppò l'arte del ricamo dei paramenti sacri. Ancora oggi se ne conservano bellissimi esemplari.
Nei secoli XIX e nel XX la vita del monastero fu turbata dalle gravi vicende politiche che interessarono l'Italia, prima con l'invasione Francese, poi con il Risorgimento. Per due volte le monache dovettero lasciare Senigallia e ricoverarsi altrove. Ma il Beato Pio IX - nativo di Senigallia - profetizzò che l'allontanamento non sarebbe stato definitivo.
L'attuale collocazione, del Monastero, diversa da quella originale, risale al 1872. Ma la costruzione ottocentesca fu distrutta da un terremoto nel 1930 e l'attuale fabbricato fu inaugurato nel 1953. Nel Monastero si conservano opere d'arte, libri e documenti d'archivio dei secoli precedenti.
Nel 1973 fu inaugurato il nuovo tabernacolo, progettato dall'Abbadessa M. Pia Dall'Asta, opera del Prof. Ugo Mazzei della scuola di Pietrasanta. Lavori recenti hanno permesso di realizzare una foresteria con circa 10 posti letto e una sala di riunione per incontri e lavori di gruppo.
La comunità negli ultimi anni ha subito una diminuzione a causa della morte di consorelle anziane o ammalate, le quali hanno lasciato il ricordo di una vita e di una morte santa. L'attuale disponibilità della foresteria permette alle monache di accogliere per qualche giorno, in determinati periodi dell'anno, famiglie intenzionate ad applicare gli insegnamenti di S. Benedetto alla propria vita familiare. Le famiglie che desiderano fare questa esperienza possono prendere contatti con l'abbadessa. Oltre all'istruzione sulle tradizioni benedettine relative alla pratica delle virtù, alla carità fraterna, al lavoro, al canto sacro, all'attività artistica, allo studio, la comunità offre la possibilità di partecipare alla preghiera corale e di vivere qualche giorno uniformandosi agli orari del monastero e ai costumi monastici. Una particolare cura sarà rivolta a formare i piccoli alle virtù del silenzio, della laboriosità, dell'obbedienza, del rispetto, della pazienza e alla preghiera personale e comunitaria.
In clausura con la comunità possono essere ospitate ragazze o signorine che desiderano fare un'esperienza di vita monastica. Ogni anno, nel mese di luglio, la comunità organizza una settimana vocazionale. Le ragazze che desiderano essere ospitate in comunità o partecipare alla settimana vocazionale possono prendere contatti con l'abbadessa.
Monastero di S. Cristina Monache Benedettine, Senigallia(AN).
Via dell'Angelo, 6
60019 Senigallia (AN)
Tel. e fax 071/60600
email: monaserosantacristina@60019.it
Sperandia nacque a Gubbio in Umbria nel 1216 circa. All'età di nove anni le apparve Gesù e le rivelò che doveva spogliarsi delle sue vesti e fare penitenza. Anche se avversata dalla propria famiglia, la giovane si dedicò alla meditazione della Passione, alla preghiera e al servizio dei poveri. "Quindi rivestita di un'ispida pelle di maiale, con una cintura di ferro ai fianchi... si allontanò dai genitori e si distaccò da tutti i beni terreni, senza tentennamenti d'animo." (G. Santarelli, "Santa Sperandia", Cingoli, 1975, pag. 17).
Santa Sperandia fu visitata da sante visioni e operò numerosi miracoli. Nel manoscritto "Vita latina" conservato all'archivio di stato di Macerata, che racconta la vita della santa, vengono menzionate diverse visioni e diversi atti penitenziali, tra cui estenuanti quaresime trascorse in luoghi solitari e aspri in digiuno e preghiera, dove spesso demoni andavano a visitarla. Fece apostolato e in molte occasioni anche da pacificatrice.
Santa Sperandia morì l'undici settembre del 1276 e la sua sepoltura divenne subito meta di pellegrinaggio. La santa continuò ad operare miracoli anche dopo la morte.
BIBLIOGRAFIA:
G. Santarelli, "Santa Sperandia", Cingoli, 1975.
"Celebrazione VII centenario della morte di santa Sperandia ", Cingoli, 1976, a cura di Giuseppe Santarelli e del comitato organizzatore.
Esistono due diverse ipotesi riguardo l'origine del monastero. Una delle due ipotizza che quando santa Sperandia tornò a Cingoli, si ritirò nel monastero di San Michele e una volta divenuta Abbadessa, riunì in un' unica comunità le monache del monastero di San Michele e quelle del vicino monastero di San Marco. L' altra ipotesi suggerisce che fu proprio Santa Sperandia, che in una prima fase avrebbe vissuto in povere abitazioni con altre donne non ancora monache, a fondare il monastero, accettando la Regola di San Benedetto e trasformando le abitazioni, creando anche un oratorio. A causa della dominazione dei Malatesta di Rimini a Cingoli, che durò fino al 1355, il monastero e la chiesa vennero abbattuti. Successivamente la chiesa di santa Sperandia venne ricostruita.
Nel 1487 il vescovo di Osimo Luca visitò il complesso monastico concedendo indulgenze ai pellegrini. Un' altra data importante è quella del 17 ottobre 1497 quando ebbe luogo la solennissima ricognizione del corpo delle santa. La chiesa di santa Sperandia subirà diversi rimaneggiamenti fino alla fine del '600, inoltre verrà radicalmente restaurata tra il 1743 e il 1748.
Intorno alla metà del XVIII secolo anche nel monastero vennero eseguiti lavori edilizi, armonizzando il tutto in stile settecentesco. In tempi recenti si sono realizzati interventi di restauro conservativo e di adattamento degli ambienti alle esigenze della vita di comunità e dell'accoglienza monastica che hanno reso più agibile l'edificio nel pieno rispetto delle sue caratteristiche storiche e artistiche.
La comunità negli ultimi anni ha subito una diminuzione a causa della morte di consorelle anziane o ammalate, le quali hanno lasciato il ricordo di una vita e di una morte santa.
L'attuale disponibilità della foresteria permette alle monache di accogliere famiglie o giovani fidanzati intenzionati ad applicare gli insegnamenti di S. Benedetto alla propria vita familiare. Oltre all'istruzione sulle tradizioni benedettine relative alla pratica delle virtù, alla carità fraterna, al lavoro, al canto sacro, all'attività artistica, allo studio, la comunità offre la possibilità di partecipare alla preghiera corale e di vivere qualche giorno uniformandosi agli orari del monastero e ai costumi monastici. Una particolare cura sarà rivolta a formare i piccoli alle virtù del silenzio, della laboriosità, dell'obbedienza, del rispetto, della pazienza e alla preghiera personale e comunitaria.
Le giovani che vogliono fare un'esperienza di vita monastica possono concordare con l'Abbadessa un periodo di uno o più giorni di residenza in comunità, o possono partecipare alla settimana vocazionale organizzata ogni anno dal monastero nel mese di luglio.
Monastero di santa Sperandia, Via Santa Sperandia, Cingoli (MC). Tel. 0733 602532 - e-mail mon.santasperandia@alice.it
L'ideale umano e cristiano che hai potuto conoscere attraverso queste pagine più pienamente che in una famiglia naturale lo potrai realizzare in una famiglia monastica
Come sarà apparso dal progetto che hai letto, l'ideale di una vita familiare elevata in tutti i suoi aspetti quotidiani nella luce di Dio e della carità fraterna può essere vissuto in modo più pieno in una comunità monastica. I suoi vari aspetti già ti sono stati illustrati, facendoti ascoltare direttamente la voce di S. Benedetto. Vuoi farne direttamente esperienza? Il monastero di Farfa e i monasteri femminili che aderiscono a questo progetto, per accogliere persone in cerca di brevi esperienze o intenzionate a provare seriamente la vita monastica, hanno stabilito alcune norme, che ora esporremo, scusandoci per la forma giuridica richiesta da questo genere di informazioni.
Chi vuole risiedere in monastero per un'esperienza monastica di una settimana o più può prendere contatto con il Padre Priore o con l'Abbadessa. E' sempre richiesta una lettera di presentazione del proprio parroco o di un sacerdote.
Chi è intenzionato ad entrare come postulante, deve prima risiedere in monastero per almeno due periodi di una settimana/quindici giorni ciascuno, distanziati da un tempo ragionevole, al fine di conoscere la comunità e di farsi a sua volta conoscere. Per chi viene dall'estero le spese di viaggio sono a suo carico.
Per accedere al postulandato bisogna aver compiuto diciott'anni e ultimato gli studi regolari fino al diploma di maturità. Di regola non si accettano postulanti che abbiano superato il cinquantesimo anno di età.
Per chi infine decide, d'accordo con la comunità, di intraprende la vita monastica questo è l'iter previsto dalla legislazione canonica:
L'eventuale accesso al sacerdozio deve essere deciso dal superiore e dalla comunità.
Chi viene dall'estero e, dopo avere incominciato l'iter monastico, lo interrompe, per scelta sua o della comunità, non può restare in Italia per lavoro, non avendo il titolo di soggiorno adeguato. Deve perciò tornare al suo paese di origine.
Oltre a ciò ogni monastero organizza ogni anno, nella prima metà di luglio, una settimana vocazionale per giovani in ricerca spirituale che desiderano conoscere da vicino la vita monastica. Si possono accogliere fino a dieci giovani. Chi è intenzionato/a a partecipare può contattare il P. Priore o l'Abbadessa della comunità in cui desidera fare esperienza..
A questo progetto aderiscono, oltre il monastero maschile di Farfa anche alcuni monasteri femminili: Senigallia (AN), Fano (PU), Cingoli (MC)
Per il monastero di Farfa si possono contattare i seguenti recapiti e chiedere del P. Priore o del monaco incaricato del progetto.
Tel.: 0765/277065
Fax: 0765/277191
Email: farfenprior@libero.it
L'intero argomento trattato in queste pagine si trova più ampiamente svolto nel volume:
"San Benedetto e la vita familiare" di D. Massimo Lapponi, Benedettino dell'Abbazia di Farfa, disponibile anche in lingua inglese: "The Rule of Saint Benedict for Family Life Today" (pubblicato a Londra nel 2010 presso la St Pauls Publishing)
L'Abbazia di Farfa
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Attività e Servizi
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San Benedetto da Norcia e la Regola benedettina
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Oltre L'Abbazia